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La dimenticata potenza del juke box

Non sono un passatista; non guardo indietro con nostalgia. Perché c’è sempre qualcosa di buono in ogni epoca. Ma guardando un film sulla meglio gioventù degli anni Settanta ho rivisto una tecnologia – in voga dagli anni Cinquanta e durata fino a tutti gli Ottanta e, alle nostre latitudini o in qualche bar di provincia, anche un poco dei Novanta – sulla quale vale la pena spendere due parole di ricordo: il juke box.
Strumento indispensabile nel corteggiamento delle sere d’estate, archetipo dello sharing musicale che ci rendeva tutti disposti a pagare – da 100 a 1000 lire per ascoltare, riascoltare in loop e soprattutto condividere una canzone (con chiunque fosse a tiro di altoparlante).
Oggi, ed è questo il punto, in pochi sono disposti a pagare per ascoltare musica o vedere un film, visto che la pratica più diffusa e moralmente accettata è il download pirata come se nulla fosse dovuto all’artista che ha lavorato per realizzare l’opera.
Lo so: l’arte è un bene comune, universale, che appartiene a tutti e bla bla bla; lo so che le major discografiche spesso si arricchiscono sfruttando l’artista che invece si affama, o spesso l’artista ha messo su tanti soldi che un po’ di beneficenza non gli fa male. Ma più spesso è un povero cristo che si è fatto il mazzo e con la sua musica (pagata) mangia.
So anche che se avessimo trovato un juke box rotto – che andava anche senza soldi – nessuno di noi, in quegli anni, si sarebbe sognato di protestare o solo segnalare il guasto. Ma oltre a essere una questione di proporzioni – la quantità di musica che oggi passa online è infinitamente superiore a quella contenuta in tutti i juke box messi insieme – e una questione di stile (che i ragazzini smartphone addicted non capiranno): staccarsi dal gruppo, avviarsi verso la macchinetta luminosa, tirar fuori dalla tasca una monetina, infilarla nelle fessurina, digitare il codice del brano scelto, tornare da lei e dirle “questo è per te” non aveva prezzo. Anche se ci si rimediava un due di picche.
E non ditemi che col cellulare, oggi, è lo stesso.

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