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Riflettori sul porto di Gioia Tauro per via della nave della morte che arriva dalla Siria. Un problema in più come se non ce ne fossero già abbastanza. Ma, al netto delle paturnie quotidiane e secolarizzate, in Calabria funziona relativamente bene solo una cosa. Appunto, il porto di Gioia Tauro. Lato mare. Già, perché l’infrastruttura, lato terra, lascia molto a desiderare; per usare un eufemismo. Funziona bene perché il sito ha una posizione geografica strategica. L’insediamento dispone della “materia prima”. Il traffico delle navi-transhipment, il cui orizzonte ravvicinato è rappresentato dai tre milioni di teus; con alto margine di crescita. E tuttavia le potenzialità hanno le rughe tipiche delle incompiute. Il volto spento delle zitelle. Un polo che, però, funziona nonostante le avversità che sono state e sono di varia natura. Spesso storiacce. Di tante cose che si sono messe per traverso. Il porto di Gioia Tauro ha passato momenti brutti negli ultimi due anni, cioè dopo il ridimensionamento delle attività da parte della Maersk che ora sembra ritornare sui suoi passi, o per meglio dire sulle tradizionali rotte. Ha dovuto e deve affrontare la concorrenza dei porti nordafricani, spagnoli e persino di quelli italiani del nord Tirreno e nord Adriatico. Queste ultime realtà hanno potuto godere delle protezioni degli armatori e delle lobby della logistica aiutate, a loro volta, dalle politiche degli ultimi dieci anni, tutte orientate a mantenere un protezionismo del Settentrione che ha avuto paura di perdere contatti con gli scali olandesi e tedeschi. Una difesa degli interessi mercantili del Nord a scapito dello sviluppo del Mezzogiorno. Al netto dei problemi pure importanti del costo del lavoro e dei prezzi della movimentazione delle merci. Un groviglio di limiti reso ancora più confuso dal destino che avrà o che non avrà il corridoio “Berlino-Palermo” se dovesse passare dalla Sicilia o dalla variante slava e maltese. Tanti i nodi da sciogliere. Lato terra è un disastro, su tutti i fronti. Li accenno per titoli. Il rigassificatore e relativa piastra del freddo con tutto quello che riguarda la conservazione e la manipolazione delle derrate alimentari, senza contare il risparmio energetico per le royalty sulle frigorie, si fa o non si fa? Il governo dovrebbe dire una parola definitiva e, in caso affermativo, stilare un calendario credibile e trasparente. E, fra l’altro, si dovrebbero frugare i dubbi circa un’ipotetica contrarietà di Contship a coabitare col rigassificatore. Ed ancora: lo scalo ferroviario, Rfi lo finanzia o non lo finanzia? Il retroporto e l’area industriale della Piana sono sotto la sovranità della ‘ndrangheta o dello Stato? L’Intermodalità è una parola o una prospettiva? Questo insieme di problemi si lega poi allo sviluppo del territorio, anzi ne è la premessa, che il personale politico locale e nazionale, succedutosi nel tempo, ha balbettato e contraddetto con varie tonalità e velleità.

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