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LAMEZIA TERME – Il 20 dicembre 2013, dopo aver compiuto 65 anni da quattro mesi essendo nato a Nicastro il 13 ottobre del 1948, fa richiesta all’Inps dell’assegno sociale. Il 14 gennaio 2014, a meno dunque di un mese dalla richiesta, riceve, dalla sede Inps di Milanofiori, il primo assegno da 460 euro del trattamento pensionistico. Tempi brevi dunque per ricevere la pensione. E già questo non è da poco. Ma lui non è un «raccomandato». E nemmeno una persona qualunque. E’ il capo storico indiscusso del clan Giampà. Ergastolano. E si trova al 41 bis nel carcere milanese di Opera (ecco perchè la pensione gli è stata concessa dall’istituto di previdenza di Milano).

Da gennaio 2014, dunque, il boss Francesco Giampà, alias “Il professore”, indiscusso capostorico dell’omonimo clan, «tira a campare» con l’assegno sociale da 460 euro. Francesco Giampà ha un lungo curriculum criminale e una lunga serie di condanne, su cui spicca il «fine pena mai» per essere stato il mandante del duplice omicidio del sovrintendente della polizia di Stato Salvatore Aversa e della moglie Lucia Precenzano. Così come i 30 anni inflitti per essere stato il mandante dell’omicidio di Salvatore Andricciola, ucciso in un bar di Forlimpopoli il 27 ottobre del 1991. Ultima delle tante condanne quella di 13 anni inflitta prima dal gup di Catanzaro e di recente confermata dalla Corte d’Appello di Catanzaro nell’ambito del processo “Medusa” contro il clan che porta il cognome del fondatore, appunto Francesco Giampà, in carcere dal 1993. Dal 2012, in carcere c’è pure la moglie, Pasqualina Bonaddio, le figlie Vanesssa e Rosa coinvolte nell’operazione “Medusa” e già condannate anche in appello. Il figlio, Giuseppe Giampà, che dal 2002 prese l’«eredità» del padre, si è pentito da settembre del 2012 insieme alla moglie Franca Teresa Meliadò. Figlio e nuora sono dunque anche loro pagati dallo Stato per la collaborazione con la giustizia.

Francesco Giampà invece è un pensionato. E la pensione del capo del locale di ‘ndrangheta di Nicastro, rientra fra i tanti casi analoghi che già alcuni anni fa fecero discutere tanto da ipotizzare l’approvazione di una legge che vietasse ai condannati per mafia di fare richiesta dell’assegno mensile sociale. Ma non se ne fece nulla. La legge infatti non vieta ai boss il trattamento di quiescienza. Ed è quello che ha risposto l’Inps anche in questo caso di cui si è occupato l’inviato di “Ballarò” Claudio Pappaianni. In un dossier della commissione parlamentare Antimafia redatto dall’allora vicepresidente Nichi Vendola, venivano elencati i boss che usufruivano della pensione, fra questi anche Toto Riina fece domanda, ma fu denunciato dai magistrati per tentata truffa all’Inps. Nel dossier figuravano i nomi dei boss con la pensione pagata dallo Stato (fra Inps e Inail) fra i quali il killer Vitale, il riciclatore Virga, Di Gangi e Farinella. Sono tanti infatti i padrini di Cosa nostra, ma anche in altre organizzazioni criminali, che approfittarono dei benefici dello stato sociale secondo quanto testimoniò il dossier della commissione parlamentare Antimafia. Ma nessuno però ha violato la legge. Almeno per l’Inps.

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