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L'area su cui è stato realizzato Expo

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Emergono nuovi particolari nell’operazione portata a termine in Lombardia con il coinvolgimento di ‘ndrangheta e imprenditori calabresi

CATANZARO – Il gruppo dei “calabresi”, composto, tra gli altri, da Salvatore Piccoli, imprenditore di Catanzaro arrestato assieme ad altre 13 persone (LEGGI I PARTICOLARI DELL’OPERAZIONE), sarebbe riuscito «ad inserirsi nel settore delle grandi opere» aggiudicandosi lavori con la società Infrasit, tra cui quelli «per la realizzazione della Piastra Expo spa», l’area predisposta per la realizzazione di Expo. I particolari sono contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare emessa nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Milano su un sistema di presunte tangenti per ottenere subappalti.

Piccoli, ritenuto contiguo a presunti affiliati ad un clan della ‘ndrangheta, e i “‘calabresì” dal giugno del 2013 in poi, attraverso Infrasit, avrebbero ottenuto anche «importanti lavori pubblici quali il cantiere di Arese avente ad oggetto la costruzione del Centro commerciale “Il Centro”, il cantiere di Turbigo per il potenziamento della tratta ferroviaria Castano-Turbigo, il cantiere di Cormano per i lavori relativi una nuova stazione», il cantiere di Bereguardo «per lavori relativi la messa in sicurezza della A7 Milano-Genova».

Il gip nel suo provvedimento fa notare che si tratta «di opere di rilievo» che «certamente una società appena nata, gestita di fatto ed amministrata formalmente da soggetti privi di una competenza specifica nel settore, non si sarebbe mai potuta aggiudicare». Invece, «l’ingresso della società di nuova costituzione nel mercato degli appalti pubblici» è potuto «avvenire grazie al circuito relazionale di Zanga Pierino», uno degli imprenditori arrestati, che si avvaleva «di professionisti spregiudicati in grado di reperire persone da impiegare come ‘teste di legnò, creando società fittizie e/o inattive» che avevano anche le certificazioni «necessarie agli appalti».

Il gruppo, stando all’ordinanza del gip, sarebbe ricorso «alla corruzione per ottenere i subappalti» e alle «minacce e a metodi intimidatori al fine di risolvere problemi di concorrenza, ricorrendo infine a ‘faccendierì della portata di Raineri Alessandro che dietro compenso intermediavano i rapporti con politici e funzionari pubblici». 

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