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CATANZARO – Una nuova possibile guerra per la gestione della “bacinella”, ma anche l’estrema importanza del “carcere duro” per impedire che i boss detenuti possano continuare a comunicare con l’esterno.

L’operazione “Nuove leve” (LEGGI LA NOTIZIA), contro la cosca Giampà di Lamezia Terme, ha permesso agli inquirenti di aggiungere ulteriori tasselli nella lotta alla criminalità organizzata, non solo rispetto ai delicati equlibri di Lamezia, ma anche nella più generale azione di contrasto alla criminalità organizzata. Rispetto al “carcere duro”, la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha sostenuto che “è fondamentale perché recide ogni contatto con l’esterno”.

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Il procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri ha spiegato che “l’importanza del 41 bis è stata confermata anche dai collaboratori di giustizia. Domenico Giampà, 36 anni, ha raccontato di avere assunto un particolare rilievo nella gestione del clan dopo essere riuscito a dialogare con l’esterno nonostante fosse in carcere, mentre altri esponenti della cosca erano stati associati al 41 bis o erano diventati collaboratori di giustizia”.

Anche il capo della Squadra Mobile di Catanzaro, Nino De Santis, ha ricordato come “Vincenzo Giampà, alias “Camacio”, in carcere abbia fatto azioni di proselitismo, per questo è fondamentale il 41 bis per evitare che proprio il carcere diventi una scuola per la criminalità e fucina di progetti criminosi”. Complessa anche la gestione della “bacinella” nella famiglia Giampà. Il contenitore usato dalle cosche per unire i proventi delle attività illecite ha rischiato di provocare un ulteriore scontro all’interno del clan di Lamezia Terme.

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Il particolare è stato reso noto dal procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, nel corso della conferenza stampa per illustrare gli esiti dell’operazione “Nuove leve” portata a termine dalla Squadra Mobile della Polizia di Stato.

“La gestione non corretta della bacinella – ha spiegato Gratteri – è stata causa della guerra di mafia avvenuta a Lamezia in passato, anche con diversi omicidi. Anche questa ultima generazione si è strutturata nel modo classico della ‘ndrangheta, con discussioni sulla gestione della cassa”. Il riferimento è alle indagini che hanno permesso di appurare, in più occasioni che il boss, ora collaboratore di giustizia Giuseppe Giampà, aveva contestato a suo zio Vincenzo Bonaddio e a Pasquale Giampà detto “Millelire”, la gestione dei proventi illeciti della cosca “nel proprio personale interesse, di fatto sottraendo le quote da destinare alla ‘bacinella comune'”. Rispetto all’operazione di oggi, Gratteri ha posto l’accento sul fatto che “la nuova generazione ha preso il posto dei detenuti al 41 bis della cosca Giampà e di quegli elementi che hanno deciso di collaborare con la giustizia. Colpendo le nuove leve abbiamo disarticolato la famiglia Giampà, anche se non a pieno”.

Nel corso della conferenza stampa, alla presenza del procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri, del questore Amalia Di Ruocco, del capo della squadra Mobile, Nino De Santis, del vice, Angelo Paduano, e del responsabile del Commissariato di Lamezia Terme, Antonio Borrelli, è stata evidenziata l’importanza dell’inchiesta che colpisce i giovani che avevano preso in mano le redini della cosca. Il gruppo era riuscito ad avviare “una estorsione sistematica – ha detto Gratteri – tipica del controllo e dell’egemonia sul territorio”. Anche il procuratore aggiunto Bombardieri ha evidenziato l’importanza dell’inchiesta, portata avanti con intercettazioni, anche in carcere, e con le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che hanno confermato l’impianto accusatorio. Bombardieri ha evidenziato la capacità del clan di mutare la propria forma dopo ogni operazione, fino a portare le nuove leve “per fare fronte alla mancanza dei capi”. “Questa – ha aggiunto Bombardieri – è la conferma che Lamezia Terme ha la possibilità di ribellarsi ad una organizzazione criminale non più radicata e storicizzata”.

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