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Alberto Statti

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LAMEZIA TERME (CATANZARO) – «Carenza dei presupposti necessari per il mantenimento del sequestro preventivo». Così il Tribunale della Libertà di Catanzaro (presidente Giuseppe Valea) ha annullato l’ordinanza del gip del Tribunale di Lamezia Terme con la quale era stato disposto il sequestro preventivo della somma di 289.043,73 euro (di cui ora è stata disposta la restituzione) nei confronti dell’imprenditore Alberto Statti nonché nei confronti dell’Agricola Lenti. Ha altresì annullato la medesima ordinanza nella parte in cui ha disposto anche la misura dell’interdizione nei confronti di Alberto Statti.

Il Tribunale, all’esito della produzione documentale , delle memorie prodotte e della discussione effettuata in due distinte udienze, ha accolto tutti e tre i ricorsi presentati dalla difesa (gli avvocati Salvatore Staiano e Franco Giampà) ritenendo insussistente il quadro indiziario relativo all’ipotesi accusatoria.

Estorsione continuata in danno di 23 propri dipendenti – che non hanno, però, mai sporto denuncia – l’accusa ipotizzata nei confronti di Statti nell’ordinanza applicativa di misura cautelare interdittiva e reale, emessa dal gip Valentina Gallo del tribunale di Lamezia a giugno scorso, su richiesta del procuratore Salvatore Curcio e del sostituto Luigi Maffia, ed eseguita dal Gruppo della guardia di Finanza di Lamezia Terme.

Secondo quanto contestato, da anni, l’imprenditore agricolo Alberto Statti, presidente di Confagricoltura (autosospesosi dalla carica) avrebbe costretto sistematicamente i propri dipendenti ad accettare retribuzioni minori rispetto a quanto riportato in busta paga, oppure non corrispondenti a quelle previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro. Contestualmente sarebbero stati costretti a rinunciare, di fatto, alle somme di trattamento di fine rapporto previste, con la minaccia dell’immediato licenziamento o, prima dell’instaurazione del rapporto lavorativo, con l’esplicito rigetto della richiesta di assunzione avanzata da coloro che aspiravano all’impiego secondo le regole.

Ma per i giudici del Riesame «non è configurabile, neppure sul piano del fumus, la ipotizzata fattispecie delittuosa di estorsione di Alberto Stati ai danni dei lavoratori». Per i giudici, inoltre, «non emerge che vi sia (stata) discordanza tra le retribuzioni formalmente riportate nelle buste paga e le somme effettivamente erogate ai lavoratori».

L’imprenditore «ha fornito la dimostrazione di aver corrisposto, ai dipendenti interessati, somme uguali o addirittura maggiori di quelle risultati dalle buste paga emesse, con cio’ faccio venir meno il periculum in mora della misura cautelare reale disposta con decreto del gip Tribunale di Lamezia Terme».

«La decurtazione – si legge nella ordinanza del Tribunale – percentuale (33% per le donne e per gli uomini per lavori generici e 20% per uomini per lavori specializzati) che, secondo gli inquirenti, dovrebbe essere applicata onde pervenire alla somma che l’Azienda Lenti avrebbe indebitamente trattenuto (rectius: estorto) ai lavoratori, si fonda su affermazioni del tutto generiche».

Dubbi sono stati espressi anche in merito ai testimoni dell’accusa: «Quanto, infine, a Cappello Angelo, le cui dichiarazioni sono state particolarmente valorizzate dagli organi inquirenti, non può sfuggire come, da un lato, rievoca la sua situazione personale antecedente al mese di giugno 2012 (data di cessazione del rapporto di lavoro), dall’altro, emerge, per come evidenziato dalla difesa, una situazione conflittuale con Statti Alberto (precedente licenziato della moglie, controversia a causa dell’infortunio sul lavoro del cognato), che fa dubitare della attendibilità delle dichiarazioni rese agli inquirenti».

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