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Il sindaco Mascaro il ministro Minniti e ilprocuratore Gratteri

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LAMEZIA TERME –  IL 17 novembre scorso il ministro dell’Interno, Marco Minniti, ha firmato la relazione (sulla base delle verifiche disposte dal prefetto) sullo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose (LEGGI LA NOTIZIA), relazione allegata al decreto firmato dal presidente della Repubblica il 24 novembre scorso. Il Comune di Lamezia Terme – scrive Minniti – «presenta forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata che compromettono la libera determinazione e l’mparzialità degli organi elettivi, il buon andamento dell’amministrazione ed il funzionamento dei servizi, con grave pregiudizio dell’ordine e della sicurezza pubblica».

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Facendo riferimento all’operazione antimafia “Crisalide” contro le cosche “Cerra – Torcasio – Gualtieri, scattata il 23 maggio scorso, con 52 fermi, nella relazione viene ricordata la perquisizione nei confronti di un consigliere comunale in quel momento ai domiciliari per altro, misura successivamente revocata, e del vice presidente del consiglio comunale poi dimessosi. Ai predetti amministratori è stato contestato il reato di concorso esterno in associazione mafiosa in quanto avrebbero chiesto e fruito dell’appoggio elettorale della locale cosca mafiosa». Come si ricorda, l’operazione “Crisalide” coinvolse l’allora vicepresidente del Consiglio comunale Giuseppe Paladino e l’ex candidato a sindaco Pasqualino Ruberto, eletto consigliere comunale e poi sospeso dalla carica per il coinvolgimento nell’operazione “Robin Hood”.

A seguito delle risultanze delle verifiche della commissione, il prefetto, sentito nella seduta del 12 ottobre scorso il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, integrato con la partecipazione del procuratore aggiunto della Dda e del procuratore della Repubblica di Lamezia, ha trasmesso la relazione al ministro dell’Interno con la proposta di scioglimento «in cui si dà atto della sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti e indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata di tipo mafioso e su forme di condizionamento degli stessi». Il Comune di Lamezia Terme «insiste in un contesto territoriale caratterizzato dalla presenza di quattro organizzazioni criminali, tra le più potenti de sistema ‘ndrangheta per la loro pervasività nel tessuto economico sociale ed anche istituzionale e per la loro capacità di intrecciare rapporti ed alleanze con i più importanti sodalizi criminali della Calabria e di altre regioni».

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La relazione del prefetto effettua, a tal proposito – scrive il ministro – «un raffronto tra le risultanze dell’accesso attuale e quelle che diedero luogo agli scioglimenti per infiltrazioni nel 1991 e nel 2002 rinvenendo, in assoluta continuità, la persistenza delle medesime dinamiche collusive e dell’operatività degli stessi personaggi di spicco delle organizzazioni criminali dominanti in quel territorio». «Fonti tecniche di prova hanno attestato come la campagna elettorale per il rinnovo degli organi elettivi sia stata caratterizzata da un’illecita acquisizione dei voti che ha riguardato, direttamente o indirettamente, esponenti della maggioranza e della minoranza consiliare». «E’ inoltre stata rilevata una sostanziale continuità amministrativa, atteso che molti degli attuali amministratori hanno fatto parte, a diverso titolo, della compagine eletta nel 2010. Ulteriore rilevante elemento che evidenzia un contesto ambientale compromesso è rappresentato dalla sussistenza di cointeressenze, frequentazioni, rapporti a vario titolo tra numerosi componenti sia dell’organo esecutivo che di quello consiliare con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata». Al riguardo, il prefetto evidenzia che «successivamente alla loro elezione e fino ai primi mesi del 2016 il sindaco ed il vice sindaco, entrambi avvocati, hanno assunto, contemporaneamente, la veste di difensori di fiducia di esponenti di massima rilevanza delle cosche e di loro sodali e quella di organi di vertice dell’Amministrazione comunale».

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E che «solo a marzo e maggio 2016, a seguito della costituzione di parte civile del Comune nei processi, il primo cittadino ed il vice sindaco hanno rinunciato all’incarico di difensori dei menzionati esponenti della criminalità organizzata e il mandato conferito al sindaco è stato assunto da altro professionista in stretti rapporti di affinità con il primo cittadino». Il prefetto evidenzia come «l’intricata rete di rapporti e cointeressenze tra amministratori e soggetti con precedenti penali è ulteriormente attestata dalla circostanza che un consigliere comunale e il coniuge di questi sono indagati per numerosi gravi reati, tra i quali quello di bancarotta fraudolenta, per quest’ultimo unitamente ad un libero professionista che è in stretti rapporti d’affinità con una dipendente comunale. E ancora: la relazione della commissione d’indagine «ha fatto emergere un diffuso quadro di illegalità, in diversi settori dell’ente che, unitamente ad un generale disordine amministrativo, si sono rilevati funzionali al mantenimento di assetti predeterminati con soggetti organici o contigui alle organizzazioni criminali egemoni ed al consequenziale sviamento dell’attività di gestione dai principi di legalità e buon andamento».

«Il penetrante condizionamento -si legge ancora nella relazione – posto in essere dalla criminalità organizzata nei confronti dell’amministrazione, emerge, altresì, dall’analisi dei procedimenti concernenti l’affidamento di beni confiscati alla criminalità organizzata». «L’amministrazione comunale ha infatti concesso, per 15 anni e gratuitamente, un immobile ad una cooperativa pressoché inattiva da tempo perché sottoposta ad indagini per indebite percezioni di erogazioni pubbliche». L’organo ispettivo «ha rilevato numerose criticità nella procedura di assegnazione del bene, in particolare, ha evidenziato che dall’esame della determina di affidamento non emerge lo scopo sociale perseguito dalla cooperativa né le finalità di utilizzo dell’immobile. Ulteriori circostanze anomale di tale vicenda sono rappresentate dal fatto che alla procedura di assegnazione ha partecipato la sola cooperativa che ha poi ricevuto il bene in concessione, cooperativa che, dai controlli effettuati, non garantisce alcuna affidabilità gestionale atteso che, sono risalenti nel tempo, gli ultimi bilanci di esercizio e le altre dichiarazioni contabili». Viene altresì evidenziata «la mancanza di requisiti minimi morali da parte dei soci e degli amministratori, in particolare due dei soci sono gravati da pregiudizi di natura penale ed uno di essi è riconducibile ad esponenti della criminalità organizzata». La relazione del prefetto ha inoltre posto in rilievo come, sempre dal’esame delle determine, «sia emersa l’esistenza di un vero e proprio ‘sistema’ che, da un lato consenti di aggiudicare appalti sempre alle medesime ditte in base ad una rotazione delle stesse e, dall’altro, attraverso il meccanismo delle proroghe ripetute permette alla ditte un sostanziale recupero del ribasso offerto in sede di gara. Tale consolidato modus operandi ha permesso di eludere le disposizioni in materia di informazioni antimafia».

E’ altresì evidenziato come in tale settore l’ente «non abbia posto in essere alcuna preventiva forma di programmazione né alcuna attività di controllo nella fase di esecuzione delle opere dei servizi». Nella relazione il ministro scrive inoltre che «elementi concreti che attestano una gestione amministrativa non aderente al principio di legalità sono emersi anche in relazione all’affidamento del servizio mensa scolastica per il periodo 2016 – 2019 disposto attraverso una gara d’appalto. L’organo ispettivo ha rilevato, nella procedura in questione, numerose irregolarità ed anomalie sia in sede di nomina e sostituzione dei componenti la commissione giudicatrice sia in ordine alle modalità di valutazione delle offerte».

La gara è stata aggiudicata nel mese di febbraio 2017 ad una impresa «che già aveva svolto lo stesso servizio nel triennio precedente ed il cui socio di maggioranza è gravato da precedenti penali. L’impresa nell’aprile 2017 è stata destinataria di certificazione interdittiva antimafia emessa dal prefetto di Catanzaro a seguito della quale l’ente nel mese di maggio ha revocato l’affidamento».

Evidenzia inoltre la commissione d’indagine che «la società in argomento fino ad agosto 2017 deteneva anche il 20% del capitale sociale di altra società a sua volta destinataria, sin dal mese di gennaio 2016, di provvedimento di interdittiva antimafia. Disfunzioni e irregolarità sono state rilevate anche nelle procedure per l’affidamento del servizio di gestione del verde pubblico caratterizzate da un ripetuto ricorso ad assegnazioni dirette sulla base di infondati motivi di urgenza. Viene pure posto in rilievo che negli anni 2016/2017 l’ente, frazionando le prestazioni e le relative spese in elusione della normativa di settore, ha permesso ad una cooperativa, in via esclusiva o in associazione con altre imprese, di essere destinataria di più affidamenti e successive proroghe». Anche in tale ambito l’amministrazione comunale «anziché procedere alla dovuta pianificazione e programmazione degli interventi manutentivi e porre in essere un’unica gara, al fine di garantire un servizio omogeneo e costante, ha ripetutamente fatto ricorso all’istituto dell’affidamento diretto attraverso singole determine alcune delle quali prive della corretta identificazione del luogo ove effettuare la manutenzione ed altre addirittura mancanti del periodo di durata della prestazione del servizio.

Emblematico in tal senso si è rivelato l’esame di due determine dirigenziali con la prima delle quali il servizio di decoro del verde pubblico è affidato per un importo di circa 160.000 euro alla predetta cooperativa facente parte di una ATI e, solamente quattro mesi dopo, lo stesso servizio è nuovamente affidato alla stessa ATI per un importo di circa 50.000 euro».

Analoghe illegittimità ed irregolarità, che delineano il quatro di un’amministrazione pervicacemente gestita in dispregio del principio di legalità, sono emerse dall’analisi delle procedure di appalto dei lavori pubblici. Anche in questo ambito la commissione d’indagine ha rinvenuto il frequente ricorso dell’amministrazione comunale agli affidamenti diretti in evidente violazione delle vigenti disposizioni. Le verifiche disposte hanno evidenziato che l’entee, anche nei rari casi in cui ha provveduto ad aggiudicare lavori mediante procedure di evidenza pubblica, ha poi affidato alle imprese aggiudicatarie ulteriori lavori anche in altra tipologia».

In tal senso «è significativa la vicenda relativa ad una impresa alla quale sono stati aggiudicati con contratto stipulato nell’agosto 2016 lavori per la manutenzione delle strade comunali – per l’importo di circa 270.000 euro – a cui è seguita, nei mesi di novembre e dicembre 2016, l’assegnazione sempre alla stessa ditta e senza alcuna gara di nuovi lavori per l’importo di oltre 40.000 euro, soglia che supera il tetto previsto dalla normativa comunitaria per gli affidamenti diretti». E che «gli accertamenti effettuati dalle forze dell’ordine hanno inoltre messo in rilievo che il titolare dell’impresa aggiudicataria di tali lavori è persona gravata da numerose segnalazioni all’autorità giudiziaria per diverse fattispecie di reato ed ha rapporti di frequentazione con soggetti riconducibili alla locale criminalità organizzata e che alcuni dipendenti dell’impresa sono indagati per indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato».

Per il ministro «le vicende analiticamente esaminate e dettagliatamente riferite nella relazione del prefetto di Catanzaro hanno rivelato una serie di condizionamenti nell’amministrazione comunale di Lamezia Terme, volti a perseguire fini diversi da quelli istituzionali, che hanno determinato lo svilimento e la perdita di cresdibilità dell’istituzione locale, nonché il pregiudizio degli interessi della collettività, rendendo necessario l’intervento dello Stato per assicurare il risanamento dell’ente».

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