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Nino Cerra

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LAMEZIA TERME (CATANZARO) – Era ritenuto un pezzo da novanta della criminalità calabrese. Nino Cerra, lo storico e carismatico boss, detto “u zu Ninu” o “u viacchiu”, è morto all’età di 72 anni per cause naturali (i funerali si sono svolti ieri in forma privata). Era detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Parma dopo gli ultimi arresti e condanne relativi alle operazioni “Chimera” (condanna definitiva a 13 anni e 4 mesi di carcere) e “Dioniso” (condanna confermata in appello a 14 anni di carcere).

Una lunga carriera criminale la sua. Da diverse inchieste antimafia risultò avere collegamenti con elementi di spicco della ‘ndrangheta di San Luca appartenenti alle potenti cosche mafiose dei “Pizzata-Trimboli-Papalia-Barbaro”, che operano anche nel territorio della regione Lombardia, dove lo stesso Cerra sin dalla sua giovane età iniziava la sua vera e propria carriera criminale.

Nel 1984, infatti, dopo un periodo di latitanza fu arrestato poiché accusato di due sequestri di persona (quelli di Fabrizio Mariotti, figlio di un industriale del marmo di Bagni di Tivoli e di Tullia Cauten, figlia di un ricco imprenditore di Milano), nonché dell’omicidio di Giuseppe Cerminara, di 24 anni, ucciso un mese prima del suo arresto.

Cerra andò via da Lamezia negli anni ’70 per stabilirsi a Milano dove entrò nel “grande giro” dei sequestri di persona entrando a far parte di un gruppo di banditi calabresi legato alla famiglia Papalia di Platì.

Poi anni e anni di carcere fino alla sua scarcerazione avvenuta nel 2005. Nel 2014 tornò in carcere nell’ambito dell’operazione “Chimera” in cui emerse che, insieme alla sorella Teresina e ai nipoti Vincenzo Torcasio di 40 anni e Pasquale Torcasio di 52 anni, oltre che con i fratelli Antonio e Cesare Gualtieri di 32 anni, era capo della cosca “Cerra-Torcasio-Gualtieri” egemone nel territorio di Nicastro.

Gli ultimi arresti e condanne per Nino Cerra sono appunto avvenuti con le operazioni “Chimera” prima e “Dioniso” dopo. A ottobre di due anni fa, figurava tra i destinatari di un sequestro di beni (operazione “Alesia” ordinata dalla Dda di Catanzaro ed eseguita dal Gruppo della Guardia di Finanza di Lamezia), in cui emerse che in un edificio sequestrato a Cerra in contrada Carrà (dove abitava) avvenivano delle riunioni con esponenti di spicco della criminalità calabrese, nei cui ambienti risultava essere alla stregua di Francesco Giampà “u prufessuri”, quest’ultimo, capo storico della cosca Giampà.

Di Nino Cerra hanno parlato numerosi collaboratori di giustizia, tra cui Umberto Egidio Muraca. Nel 2012 raccontò che a «casa di Nino Cerra effettuavamo varie riunioni, e nel corso di queste riunioni pianificavamo le estorsioni da compiere, nonché di talune attività illecite da compiere a Milano, tra cui un sequestro di persona, che Nino Cerra poteva effettuare grazie alle sue conoscenze e amicizie con le famiglie mafiose dei Papalia, Trimboli e Barbaro, che a loro volta avevano dei legami molto forti nella zona di Milano».

Nino Cerra era stato ritenuto anche uno dei mandanti del duplice delitto del sovrintendente di polizia Salvatore Aversa e della moglie Lucia Precenzano, da quest’accusa però fu assolto anche in appello nel febbraio del 2009.

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