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CATANZARO – «Non è stata la politica a non volermi, ma Napolitano. Siccome è ancora in vita, sarebbe simpatico capire chi è andato a fargli visita qualche giorno prima e magari lo ha consigliato». Cinque anni dopo l’insediamento del Governo Renzi, il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri è tornato sulla mancata nomina a ministro della Giustizia, chiamando in causa l’allora presidente della Repubblica. Una posizione ufficiale, dopo che il rifiuto di Napolitano alla proposta di Gratteri Ministro era circolata sin da subito.

Gratteri è stato intervistato a Circo Massimo, su Radio Capital, affrontando tutti i temi attuali della giustizia, compreso il suo nuovo libro “La rete degli invisibili”, scritto con Antonio Nicaso ed edito da Mondadori.

Rispetto alla prescrizione, il procuratore di Catanzaro ha spiegato: «Per come ragiono io, termini come prescrizione, amnistia, indulto, dovrebbero sparire dal vocabolario della lingua italiana. Non è uno Stato serio quello che adotta questi termini – ha aggiunto Gratteri – e non fa nulla o fa poco affinché non ci siano più amnistie, indulti o prescrizioni. La nuova norma non è inutile, va fatta, ma non è la soluzione del problema. La prescrizione è una ghigliottina, non possiamo ragionare in questo modo, non esiste una sola ricetta per un problema».

Secondo il procuratore, d’altronde, bisogna avere «il coraggio, la volontà e la libertà di cambiare tutto il sistema, 3-400 norme, con piccole e medie modifiche, per far sì che il sistema funzioni. Altrimenti si va sempre a rattoppare».

Gratteri ha poi analizzato lo sviluppo della ‘ndrangheta, sottolineando: «I nonni e i padri erano molto duri, li condannavo a 20-30 anni e non battevano ciglio, li ho visti stare vent’anni in un buco di due metri quadri sotto tre metri di terra, vivevano come le talpe. Ma i loro figli e nipoti sono più pericolosi: uccidono di meno ma sono più difficili da indagare. Hanno miliardi di euro nascosti e riescono a corrompere. E oggi è molto più facile corrompere perché c’è un forte abbassamento della morale e dell’etica, quindi oggi il pubblico amministratore è più propenso a farsi corrompere».

In questo contesto, Gratteri è, comunque, certo che «nel rispetto della Costituzione, con un sistema giudiziario proporzionato alla realtà criminale, possiamo abbattere l’80% delle mafie in dieci anni. L’altro 20% è la mentalità mafiosa che c’è in ognuno di noi. Servono istruzione e cultura, ma è un percorso lungo, che richiede vent’anni. C’è una politica oggi in grado di ragionare da qui a vent’anni?».

Riguardo all’inchiesta sulla fondazione Open, che ha curato la Leopolda di Matteo Renzi, Gratteri ha detto: «Ogni volta che c’è un’indagine si pensa a una commissione d’inchiesta. Penso che i parlamentari dovrebbero stare più in Parlamento, partecipare di più ai dibattiti e fare leggi che fanno bene al Paese».

Infine, la chiusura sulla situazione politica: «Chi è al potere non vuole essere controllato. Il potere non vuole un sistema giudiziario efficiente, che controlli anche il manovratore. In Parlamento – ha concluso il procuratore di Catanzaro – ci sono tante persone perbene, sono la stragrande maggioranza, ma ci sono anche molti incompetenti e alcuni faccendieri, alcuni borderline».

Sulle parole di Gratteri relative alla scelta di Napolitano è intervenuto il segretario nazionale della Federazione sindacale di polizia (Fsp), Giuseppe Brugnano: «E’ una ferita per l’Italia. Nessuno potrà mai ricucire questo danno, creato ad arte e voluto per impedire una vera svolta in termini di giustizia e legalità».

Secondo Brugnano, si trattò di «una grande occasione persa per l’Italia, di cui qualcuno dovrà assumersi la responsabilità personale e politica. Abbiamo sentito tanti riconoscere le qualità di Gratteri e finanche osannarlo, ma ci accorgiamo che in molti casi di tratta di persone che vivono una sorta di sdoppiamento, rinnegando poi ogni cosa negli atti quotidiani. Da parte nostra – conclude Brugnano – siamo convinti che Gratteri Ministro della Giustizia avrebbe rappresentato una svolta, per questo sentire oggi le sue parole di conferma, ufficiali per la prima volta, ci ferisce come italiani onesti e trasparenti. Ci auguriamo che quel divieto possa essere definitivamente chiarito da chi lo mise in piedi, magari non autonomamente».

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