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CATANZARO – Circa cento finanzieri del comando provinciale di Catanzaro della Guardia di Finanza hanno dato esecuzione a un’ordinanza cautelare emessa dal gip Claudio paris, su richiesta della Procura catanzarese, al termine di un’articolata indagine a contrasto dell’assenteismo nel pubblico impiego.

Le indagini, dirette dal pm Domenico Assumma, con il coordinamento del procuratore aggiunto Giancarlo novelli e del procuratore Nicola gratteri, sono state condotte dai militari del nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Catanzaro e hanno riguardato le condotte illecite di numerosi dirigenti, impiegati e dipendenti delle strutture amministrative dell’Asp di catanzaro e dell’ospedale “Pugliese Ciaccio” .

Nei confronti di 15 soggetti (un dirigente e sei dipendenti dell’Asp di Catanzaro, nonché otto lavoratori del “Pugliese-Ciaccio”) è stata disposta la sospensione dell’esercizio di un pubblico servizio, con durate variabili tra 3 mesi ed 1 anno (LEGGI I NOMI).

Nei confronti di 18 persone (oltre ai quindici sopra citati, altri due ex dipendenti dell’azienda ospedaliera e un ex dirigente dell’Asp, tutti ora in pensione) il sequestro delle somme di denaro corrispondenti agli stipendi illecitamente guadagnati durante i periodi di indebita assenza, per un importo totale di circa 20.000 euro.

Complessivamente, i pubblici dipendenti assenteisti coinvolti nell’indagine sono 57 e a ciascuno di essi è stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari del pubblico ministero.

Le telecamere installate presso gli uffici amministrativi dei due presidi sanitari dai finanzieri del nucleo di polizia economico-finanziaria/gruppo tutela spesa pubblica, hanno documentato gli episodi di assenteismo sia attraverso controlli documentali che per mezzo di osservazione e pedinamento degli indagati. Gli episodi di assenteismo, di ingiustificato allontanamento dal luogo di lavoro e di falsa attestazione della presenza sono 2100, per un totale di circa 1800 ore di servizio non effettuate.

Variegato e per certi versi fantasioso era il sistema illecito ideato per eludere gli obblighi di registrazione della presenza in servizio: ad esempio, in moltissimi casi gli indagati si allontanavano dall’ufficio molto spesso per fare la spesa, per esigenze di carattere personale o addirittura per recarsi a giocare ai videopoker in un vicino esercizio commerciale. In altri casi, invece, alcuni indagati (anche di rango dirigenziale) consegnavano il badge a colleghi o dipendenti compiacenti, affinché lo utilizzassero al loro posto per far rilevare falsamente la presenza dell’interessato.

Emblematico, su tutti, l’episodio in cui un dipendente, evidentemente intento a strisciare il cartellino per conto di altri colleghi assenteisti, è arrivato a coprirsi aprendo l’ombrello all’interno della struttura, per evitare di essere ripreso da eventuali sistemi di videosorveglianza.

I delitti contestati agli indagati sono quelli di truffa ai danni di un ente pubblico e di fraudolenta attestazione della presenza in servizio che comporterebbe, tra l’altro, il licenziamento disciplinare senza preavviso. Condividendo la prospettiva dell’inquirente il giudice ha stigmatizzato, in modo particolare, le condotte di chi avrebbe dovuto adoperarsi per reprimere il fenomeno con la conseguenza di consentire che l’assenteismo diventi “sistema collettivo, nel quale tutti si beano di un’imperante e generalizzata sensazione d’impunità proprio perché tutti complici, controllori e controllati”.

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