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CATANZARO – Si tratta di uno dei primi casi in Italia di revoca di una sentenza penale definitiva, ai quali si è giunti tramite un rimedio a carattere eccezionale, previsto dall’art. 629 bis del codice di procedura penale, ovvero la cosiddetta rescissione del giudicato. È il risultato ottenuto davanti alla Corte d’Appello di Venezia da Marco Grande, avvocato del Foro di Catanzaro e dottore di ricerca dell’Umg, che durante lo studio della documentazione riguardante un suo assistito (un 42enne catanzarese da anni trasferitosi al Nord) si è reso conto dell’esistenza, nel casellario giudiziario generale dell’uomo, di una sentenza definitiva di condanna di sei mesi e venti giorni di reclusione oltre la multa, per i reati di truffa e sostituzione di persona, pronunciata dal Tribunale di Padova a seguito di un procedimento la cui esistenza era sconosciuta sia all’imputato che allo stesso difensore.

Una situazione quasi kafkiana insomma. In altre parole, il 42enne era stato condannato “in assenza”, perché, spiega lo stesso legale, «era stato considerato erroneamente irreperibile e non gli era stata data la possibilità di conoscere l’esistenza stessa del decreto che ha disposto il giudizio nei suoi confronti, perché tutte le notifiche erano indirizzate al difensore d’ufficio con cui non si era mai relazionato».

L’uomo, in realtà, «non si era reso irreperibile ma era detenuto in istituto di pena in Croazia dove non aveva ricevuto alcuna notifica del procedimento di Padova». L’avvocato Grande ha così optato per un mezzo di impugnazione straordinario, ovvero la “rescissione del giudicato”.

In concreto, la Corte viene chiamata a pronunciarsi sull’annullamento – o meglio, sulla revoca – di una sentenza definitiva, che quindi, nella normalità dei casi, non potrebbe essere impugnata. Se accoglie la domanda, la Corte trasmette gli atti al giudice che ha emanato il provvedimento di cui si è chiesta la revoca e il processo, quindi, dovrà ricominciare daccapo. Entro il termine stabilito dalla legge processuale (30 giorni dalla scoperta del procedimento “non conosciuto prima”) l’avvocato ha dunque depositato una richiesta di rescissione con una memoria integrativa presso la Corte di Appello territorialmente competente (in questo caso Venezia).

Nonostante il Procuratore Generale avesse chiesto il rigetto dell’istanza, la III sezione penale della Corte di Appello di Venezia ha ritenuto fondata la richiesta presentata dal legale catanzarese per il condannato e ha disposto la rescissione del giudicato, rinviando gli atti a quello stesso giudice di primo grado, per far ricominciare il giudizio ab origine.

«La Corte – commenta il legale – accogliendo la richiesta di rescissione, ha garantito al mio assistito il rispetto dei principi del giusto processo, previsti a livello costituzionale, sovranazionale e, chiaramente, nel codice di procedura penale. Tra le garanzie riconosciute all’imputato di fondamentale importanza è quella della partecipazione effettiva e consapevole nel processo penale. Del resto, il principio di legalità processuale non può consentire che un soggetto subisca una condanna definitiva derivata da un procedimento “ingiusto”, che è tale proprio perché “non conosciuto” dall’interessato».

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