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La Domus Aurea di Chiaravalle Centrale

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CHIARAVALLE (CZ) – Il 30 marzo 2021 a distanza di solo un mese dalla riapertura della Domus Aurea era arrivata la delibera dell’Asp di Catanzaro n. 422, la quale prevedeva «la sospensione dell’autorizzazione all’esercizio della struttura privata per 5 mesi, al fine di consentire la conclusione delle procedure di ispezione della commissione di verifica all’autorizzazione sanitaria all’esercizio e vigilanza delle strutture sanitarie e socio sanitarie private di questa Azienda ed in attesa degli esiti successivi dell’organismo accreditante della Regione Calabria e delle conseguenti determinazioni del Commissario ad acta per la parte di relativa competenza».

Verso tale delibera il titolare della struttura, Domenico De Santis (difeso dagli avvocati difesa dagli Bernardo Bordino, Alfredo Gualtieri e Demetrio Verbaro) aveva proposto ricorso al Tar che lo ha accolto ed ha annullato il provvedimento di sospensione condannando l’Asp (difesa dall’avvocato Rosa Sabrina Caglioti) anche al pagamento delle spese processuali ed ha ordinato che la sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Il Tar pone le seguenti motivazioni alla base dell’accoglimento del ricorso: «La reiterazione dell’esercizio del potere di sospensione ad opera dell’Asp si fonda sulle risultanze delle verifiche operate il 30 marzo 2020 cioè al momento in cui si è registrato all’interno della Rsa “La Ginestra Hospital” il drammatico focolaio da Covid-19» e «l’atto avversato è preordinato ad inibire, con un’efficacia temporale di 5 mesi, ogni attività della struttura sanitaria in attesa degli esiti dei controlli non ancora eseguiti».

Allo stato, pertanto, «la protrazione della generale interruzione di ogni attività della struttura sanitaria è cristallizzata su esiti istruttori risalenti ad oltre un anno fa e parametrati su circostanze fattuali di carattere eccezionale, riconducibili all’imprevedibile esplosione della pandemia, rispetto alla quale i protocolli di tutela e gli strumenti di risposta sanitaria ed ordinamentale non erano stati compitamente determinati ed i dispositivi di protezione erano carenti».

Per converso, «come rilevato della stessa sentenza del Consiglio di Stato, risulta oltremodo incomprensibile che in tale ampio lasso temporale le competenti strutture ispettive non abbiano eseguito le opportune e necessarie verifiche preordinate ad accertare la perdurante sussistenza dei requisiti per l’esercizio dell’attività sanitaria e per l’accreditamento».

Ne consegue «che – a fronte di stringenti esigenze di urgenza – la quantificazione in 5 mesi del termine di sospensione indicata nel provvedimento avversato risulta irragionevole, poiché un così ampio termine di efficacia trasforma l’atto in un surrettizio strumento di supplenza dell’inerzia degli organi di controllo e, al contempo, in una determinazione sostanzialmente equipollente ad una revoca dell’autorizzazione all’esercizio e all’accreditamento, spettante invece alla cognizione dell’organo commissariale».

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