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CATANZARO – “Intendo collaborare con la giustizia perché voglio togliermi un peso di dosso”.

Primo pentito dopo l’operazione Basso profilo, scattata meno di un anno fa contro una presunta cricca affaristico-mafiosa a cui sarebbe legato anche l’ex assessore regionale al Bilancio, Francesco Talarico, accusato di voto di scambio: si tratta di Tommaso Rosa, imprenditore di Sellia Marina, imputato di associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori e reati fiscali, ex braccio destro della figura chiave dell’inchiesta, l’imprenditore, sempre di Sellia Marina, Antonio Gallo, che avrebbe coadiuvato nella realizzazione di società cartiere.

Il suo ruolo (di Rosa) sarebbe stato quello di intestarsi società e individuare dipendenti. Il pm Antimafia Paolo Sirleo, nel corso del processo che si sta celebrando col rito abbreviato davanti al gup distrettuale di Catanzaro, ha prodotto un verbale d’interrogatorio in cui Rosa racconta i suoi rapporti con i boss del Crotonese e i colletti bianchi ritenuti contigui ai clan.

A cominciare dall’incontro col capobastone di Roccabernarda, Antonio Bagnato, che gli avrebbe confessato una sua “freddezza” nei confronti di Giovanni Trapasso, capo dell’omonimo clan di San Leonardo di Cutro, schieratosi col capocrimine Nicolino Grande Aracri, il boss di Cutro ritenuto al vertice di una “provincia” di ‘ndrangheta, dopo l’omicidio di Antonio Dragone. Piuttosto, Bagnato “aveva una venerazione per Cirò” tanto che ai clan cirotani procurava ingenti partite di olio. Rosa racconta anche di un summit per la pax con la famiglia Pulia di Roccabernarda.

Venendo ai rapporti con Gallo, questi gli avrebbe detto di essere in ottimi rapporti con le famiglie mafiose “da Reggio a Cosenza”. In particolare, sarebbe stato vicino a Trapasso dal quale si sarebbe staccato dopo il suo arresto per poi avvicinarsi a Mario Donato Ferrazzo, boss di Mesoraca, tanto che “non doveva pagare mazzette” per gli appalti nel settore dell’antinfortunistica che otteneva grazie all’appoggio dei clan, ma dava una percentuale alle cosche su truffe e false fatturazioni. Gallo, che tramite Vincenzo De Luca, che lo accompagnava sempre, riusciva ad avere rapporti privilegiati con le cosche, spesso cenava con Ferrazzo il quale, sempre secondo Rosa, disponeva di uno yacht, quello che la Dia non trovò quando scattò l’operazione Basso profilo.

Rosa ha spiegato anche che Gallo lo aveva fatto entrare nella società che gestiva un villaggio sulla costa jonica catanzarese chiedendogli una percentuale del 10 per cento e raccomandandogli di non dire nulla ai Trapasso e a Pierpaolo Caloiro, sanleonardese legato alla famiglia mafiosa. Rosa parla anche del suo “amico” Rosario Bonofiglio, avvocato di Roccabernarda coinvolto anche lui nell’inchiesta, che avrebbe interpellato in occasione di una perquisizione durante la quale fu rinvenuta la lettera di una donna agli inquirenti. Rosa parla anche del prezzo per il silenzio della donna pagato da Gallo che dopo il rinvenimento della lettera organizzò anche un trasferimento di quote tramite prestanome albanesi.

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