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Luigi Camporota

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CATANZARO – «Sa dell’improvvisa notorietà, gli fa anche piacere come fa piacere a ciascuno di noi che siamo i suoi primi fans, ma, per mio fratello, Boris Johnson è un paziente come tanti e per lui quel che conta è il lavoro. Che avesse in cura il primo ministro britannico noi lo abbiamo saputo dai giornali». A parlare è Paolo Camporota, fratello di Luigi, il medico pneumologo a cui sono affidate le sorti del premier inglese (LEGGI).

A Catanzaro, la città in cui è nato e ha studiato, ha lasciato la famiglia: la madre e il fratello, di due anni più piccolo. Il papà morì di edema polmonare quando il giovane Luigi, oggi cinquantenne, era ancora studente alla Facoltà di Medicina e forse, chissà, fu quella la molla che lo indusse a scegliere la specializzazione che lo ha fatto diventare un grande esperto di malattie delle vie respiratorie. «Perdemmo papà nel giro di mezz’ora, all’improvviso» ricorda Paolo conversando con l’AGI. «Nella vita ci sono cose non dette – aggiunge – e magari se mio fratello ha scelto quella strada è stato per questo».

Quel che conta ora è l’impegno che il medico calabrese volato a Londra per affermarsi sta profondendo contro il virus. Sposato con una collega, Luigi Camporota non ha figli. Aveva annunciato una visita nella sua città per le vacanze di Pasqua, ma il virus ha cancellato i suoi programmi. All’Università di Catanzaro, dove oggi sono orgogliosi dei suoi successi, lo videro qualche anno addietro in occasione di un convegno scientifico, ma di questi tempi contattarlo non è facile.

«E’ immerso nel lavoro – dice il fratello – e quando è in terapia intensiva non risponde al telefono. Durante il giorno gli mando degli sms, mi risponde a tarda sera. Del suo paziente non parla, in genere non parliamo di lavoro. In questo periodo gli chiediamo qualcosa a proposito del coronavirus, ma solo perché c’è in atto un’emergenza, in genere si parla di vicende familiari. Non lo vediamo da due anni e mezzo. Prima – aggiunge – riusciva a raggiungerci con una certa frequenza a Catanzaro, poi, visti gli impegni che ha, fra un convegno e l’altro, siamo stati noi ad andare da lui».

Preso com’è dalla battaglia contro il morbo, non si era neanche accordo che il “Times” si era occupato di lui. «Sono stato io a farglielo sapere dopo che ho visto l’articolo su internet – racconta il fratello – è contento ma ripete che questo non cambia nulla, è lo stesso uomo che era prima, solo che  ora l’opinione pubblica sa di lui, delle cose che fa ogni giorno».

Il ritratto del medico catanzarese diventato improvvisamente famoso anche fuori dagli ambienti accademici, è quello di un uomo che ha sempre studiato per passione.

«Non lo faceva per la scuola o per ambizione, ma solo per il piacere di imparare, spinto dalla curiosità come un bambino» racconta ancora Paolo. Da studente universitario non si accontentava dell’attività didattica, né dei libri di testo ufficiali: «Era sempre alla ricerca di novità, ha imparato bene l’inglese per poter studiare su pubblicazioni non ancora uscite in Italia».

La famiglia è orgogliosa di lui, ma in questo momento così difficile a causa della pandemia il timore per la salute di Luigi è sempre dietro l’angolo. «Gli raccomandiamo di stare attento – spiega Paolo – perché ogni giorno leggiamo di operatori sanitari contagiati nei reparti. Gli raccomandiamo molta attenzione, viviamo nell’angoscia». Gli pesa la lontananza dall’Italia. «A Luigi manchiamo noi, ma la sua è stata una scelta – continua Paolo – di cui non si è pentito. Non posso dire che sia stato costretto a lasciare il suo paese, ma sicuramente averlo fatto gli ha aperto orizzonti che qui non avrebbe avuto».

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