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CATANZARO – Una storia controversa, quella che giunge dal capoluogo di regione dove, dall’interno della propria abitazione, un uomo alza il suo grido d’aiuto con la speranza che questo possa essere accolto da chi è chiamato a salvaguardare l’incolumità dei cittadini e dunque ridurre i rischi di contagio da coronavirus. L’uomo, 65 anni, dipendente dell’Azienda Ospedaliera “Mater Domini”, ci racconta la sua storia partendo dal giorno in cui ha drammaticamente scoperto che suo figlio, 38 anni, rientrava tra quei cinque infermieri risultati positivi al coronavirus dopo essere stati a contatto con il paziente dializzato ricoverato all’AO “Pugliese-Ciaccio”.

«Dopo aver effettuato il test del tampone insieme ai colleghi – ci spiega l’uomo – mio figlio è quindi rientrato a casa senza ancora sapere quale fosse il responso»; un rientro che, secondo il padre del ragazzo, poteva essere evitato per scongiurare ulteriori contagi in famiglia. Il test è dunque risultato positivo e per il ragazzo, asintomatico, è stata disposta l’immediata quarantena domiciliare. Nella mattinata successiva il tampone è toccato ai restanti componenti del nucleo familiare. «Il 20 marzo – continua a raccontare l’uomo – con una telefonata del mio direttore sanitario, scopro di essere negativo al test, mentre per quello di mia moglie e mia figlia dovrò attendere ancora un giorno per un motivo a me ignoto».

L’indomani, i risultati, confermeranno la positività per la sola moglie e la paura di contrarre il virus cresce. Cosa fare con due soggetti positivi in casa? «Mi è stato detto di seguire un periodo di isolamento in due aree separate, una cosa impossibile – ci spiega il dipendente della struttura sanitaria – considerando che viviamo in un alloggio popolare con un solo piano». Con le dovute precauzioni igienico-sanitarie, la famiglia ha quindi continuato a convivere nello stesso appartamento fino ad oggi, senza avere alcun contatto con l’esterno e ricevendo la spesa con l’ausilio di una corda, calata dalla finestra, ed alla quale amici e vicini hanno di volta in volta legato buste contenenti i generi alimentari richiesti. «Non siamo stati più ricontattati da nessuno – afferma con rammarico l’uomo – scaricati tutti e quattro come un pacco postale».

La vera preoccupazione sorge però ora, a pochi giorni dal rientro al lavoro, che per l’uomo dovrebbe avvenire martedì prossimo, al termine dei 14 giorni di quarantena. «Io e mia figlia potremmo esser stati ragionevolmente contagiati» ha preoccupantemente riferito l’uomo che più volte avrebbe provato a contattare i numeri messi a disposizione dalla Regione ma senza ricevere risposta alcuna. L’esigenza di sottoporsi nuovamente al tampone, l’avrebbe altresì avanzata anche ad esponenti di spicco della sanità pubblica locale, ma la risposta non si sarebbe discostata da una semplice stretta di spalle. «Ho inoltre specificato a chi di competenza – ha aggiunto l’uomo – che tra i soggetti a rischio rientrerebbe anche la moglie di un mio secondo figlio entrato in contatto con il fratello pochi giorni prima che lo stesso risultasse positivo al virus». Né il secondo figlio, né tanto meno la moglie sarebbero stati sottoposti al tampone ma alla sola quarantena domiciliare. «Mia nuora presta servizio presso il Centro Prelievi del Mater Domini – ha specificato – e la stessa non ha coscienza se sia infetta o meno».

La speranza dell’uomo è dunque quella di ricevere al più presto assistenza e soprattutto di poter tornare a lavorare nella certezza di non rappresentare pericolo per chi con lui entrerà a contatto.

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