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Un corridoio vuoto in ospedale

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CATANZARO – Immaginate di vivere in un limbo, nel quale si ha la consapevolezza di lottare contro una malattia che potrebbe distruggerti dentro grazie al tempo che passa, ma non si possa fare nulla perché le strutture ospedaliere sono chiuse. E immaginate di sentirvi dire che solo un’ordinanza regionale potrà fare ripartire le visite, gli accertamenti e le cure necessarie. Allora comprenderete che c’è una falla immensa nel sistema sanitario, specie quando scoprirete che tutto questo, da qualche giorno, è vietato nelle strutture pubbliche, ma è possibile nei centri privati, a pagamento, dove basta avere buone disponibilità economiche per affrontare la sfida contro il male del secolo.

Da stamattina, inoltre, con l’ordinanza numero 44 del 18 maggio, sarà possibile effettuare tutti i tipi di ricoveri e le attività intramoenia (a pagamento), mentre l’ordinanza 40 del 6 maggio ha aperto gli ambulatori nelle strutture pubbliche territoriali, ma non in quelle ospedaliere, dove vengono effettuate le visite “più complesse”.

La protesta a Cosenza

Tutto questo è quello che sta accadendo in Calabria dallo scorso 10 marzo, quando la presidente Jole Santelli ha emanato l’ordinanza numero 4, poi aggiornata dai successivi provvedimenti, con la quale ha imposto «la sospensione di tutte le attività ambulatoriali erogate dalle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere, incluse le strutture private accreditate. Vanno fatte salve le prestazioni ambulatoriali recanti motivazioni d’urgenza, nonché quelle di dialisi, di radioterapia e quelle oncologiche-chemioterapiche». Ed è in queste poche parole che il meccanismo di cura si è inceppato in questi mesi.

Le urgenze che hanno diritto alle cure sono solo quelle indicate con codice 48, che tradotto in linguaggio comune e crudo significa cancro conclamato. Così non è per tutte quelle persone che stavano vivendo, nel momento della chiusura, quella fase di cure intermedie, con accertamenti in corso, terapie farmacologiche anche molto aggressive e così via. Si tratta di centinaia di calabresi che, dal 10 marzo, sono rimasti proprio in un limbo.

Storie che hanno volti, nomi e cognomi, che non faremo per rispetto della privacy, raccontando però quello che stanno vivendo, o subendo. «Ci sono persone con terapie in corso, che assumono farmaci potentissimi e con particolari effetti collaterali, proprio come accaduto a me – racconta una giovane in cura per problemi di salute che hanno bisogno di essere seguiti e approfonditi con urgenza – persone che stanno male e che quando chiedono aiuto si sentono rispondere che devono aspettare la prossima ordinanza, mentre gli ambulatori sono chiusi, non si prenotano e non si effettuano visite e non si comprende che non esistono solo pazienti con cancro certificato».

C’è rabbia mista a sconforto nelle parole di queste persone. Molte di loro pensano già ai soliti “viaggi fuori regione” appena sarà possibile. Sanno bene che, dallo scorso mese di marzo, è stata affrontata un’emergenza di carattere internazionale. Lo hanno vissuto sulla loro pelle, rimanendo completamente chiusi in casa per evitare conseguenze ad un corpo già debilitato: «Nella fase acuta della pandemia – spiega una paziente in cura all’ospedale “Pugliese” di Catanzaro – il blocco ci stava, ora siamo la regione a più basso indice di contagio e il blocco non ha più senso. In questa fase, il centro unico di prenotazioni di Catanzaro non ha accettato alcuna richiesta. E poi c’è quella scelta assurda per cui non puoi effettuare, ad esempio, una risonanza al “Pugliese”, ma puoi farla in una struttura privata e a pagamento oppure da lunedì in intramoenia, quindi sempre a pagamento».

In questi due mesi, per loro, è crollata anche la fiducia nei confronti di molti medici specialisti, dai quali non hanno ricevuto «alcun sostegno», con un «approccio burocratico, freddo, limitato a rinvii, come se la malattia potesse aspettare l’evolversi delle ordinanze». È la controindicazione ad un sistema farraginoso, che non riesce a trovare un equilibrio, preferendo la paralisi del sistema a un funzionamento oculato e capace di rispettare semplicemente le restrizioni legate alla pandemia, come è stato fatto da migliaia di lavoratori in tanti altri settori.

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