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Gli uffici dell'Asp di Catanzaro

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CATANZARO – Lacune e vuoti normativi che rischiano di trasformare la positività al virus e l’isolamento del nucleo familiare in un incubo. È il grande mondo che ruota attorno ai tamponi eseguiti presso i laboratori privati che assumono sempre più le caratteristiche di cavalieri senza spada ed armatura in una guerra condotta senza una precisa strategia. La seconda ondata ha fatto conoscere alla Calabria numeri inimmaginabili ed ha spinto sempre più le persone – visto l’aumento esponenziale del numero dei positivi e dunque di quello delle persone coinvolte nel novero dei contatti – a recarsi presso i laboratori privati per allontanare lo spauracchio del virus o per prendere le sacrosante precauzioni rispetto al resto del nucleo familiare. Spesso e volentieri ricorrere ai tamponi nei laboratori privati è una soluzione obbligata, visto il completo fallimento delle operazioni di contact tracing che quindi portano a sontuosi ritardi nell’esecuzione di tamponi. Ma, come si vedrà, le conseguenze si articolano su diversi livelli.

IL CASO

La testimonianza resa al Quotidiano del Sud è quella di un ragazzo della provincia di Catanzaro. Lo scorso sabato, il suocero del ragazzo è risultato positivo al test antigenico eseguito presso un laboratorio privato. Riportando momentaneamente una sintomatologia lieve, si è proceduto con l’auto isolamento domiciliare, in attesa del tampone molecolare dell’Asp, ad oggi non ancora avvenuto. Ma non solo. Da sabato l’Asp non si è fatta sentire in alcun modo. A seguito della positività del marito, la suocera del ragazzo ha fatto sapere al datore di lavoro di non poter recarsi a lavoro e di dover rimanere precauzionalmente in isolamento. Ovviamente l’assenza è stata ritenuta legittima dal datore. Ma è proprio a questo punto che è arrivata la doccia fredda. La signora è stata infatti posta in stato di assenza giustificata non retribuita. Lo stupore di tutti i familiari è stato immediato ed inizialmente si era pensato legittimamente ad un sopruso.

IL MECCANISMO NORMATIVO

Sono bastate poche verifiche, però, per constatare che quella messa in campo dall’azienda è una procedura conforme alla legge. Il motivo? Lo si trova nel Decreto “Cura Italia”, che equipara la quarantena alla malattia. Ma con una precisazione. Per ricevere la retribuzione è necessario il provvedimento che attesta la positività (che è il motivo da cui origina la quarantena sia per i positivi che per i suoi contatti stretti) da parte dell’operatore di sanità pubblica. In parole povere, è richiesto l’intervento del Dipartimento di Prevenzione dell’Asp. A quel punto si potrà presentare un certificato che, come confermato dall’azienda catanzarese alla donna, avrà efficacia retroattiva, restituendo il beneficio a godere della retribuzione anche per i giorni precedentemente imputati ad assenza giustificata senza retribuzione. In alternativa, può esserci un certificato “salvifico” da parte del medico di base che però deve in ogni caso avere l’autorizzazione da parte del Dipartimento di Prevenzione, anche in assenza di un provvedimento che ne accerti la positività.

PROBLEMI PRATICI

È chiaro che si tratti di un meccanismo quantomeno sganciato dalla realtà emergenziale che si vive e che rischia di determinare problemi di diversa natura. Il primo problema, di carattere personale, continua a rimanere quello economico, che è strettamente connesso ai tempi di esecuzione dei tamponi. Non più tardi di una settimana fa è stato necessario spedire migliaia di tamponi in Puglia, a causa dell’imponente arretrato che si era determinato. In più, sono sempre in aumento, con il passare dei giorni, i racconti delle persone e le denunce dei sindaci che lamentano ritardi consistenti nell’esecuzione dei tamponi. Potrebbe fatalmente accadere che fino al tampone molecolare passi un tempo tale da determinare la negatività della persona e far perdere quindi il diritto alla retribuzione per sé stesso o per i suoi familiari.

Il secondo problema, di carattere generale, riguarda un rischio per la salute pubblica. Un contatto di un soggetto positivo, magari risultato negativo all’antigenico ed in attesa del tampone molecolare, sapendo di rischiare di perdere la retribuzione in un momento così delicato per gli equilibri economici di ogni famiglia potrebbe essere spinto ad andare a lavorare ugualmente, visto che in ogni caso non viene emessa alcuna ordinanza di quarantena obbligatoria finché non arriva la comunicazione da parte dell’Asp. E i riflessi possono aversi anche sul luogo di lavoro del soggetto positivo, non solo dei suoi parenti. Fintantoché non arrivano i provvedimenti dell’autorità sanitaria, infatti, è una decisione di responsabilità e buon senso rimessa all’azienda quella di sospendere le attività o adottare precauzioni maggiori.

È evidente che la scelta legislativa di dare centralità al Dipartimento di Prevenzione ha una sua logica, senza dubbio. Ma questa si giustifica in una situazione di ideale normalità, assenza di pressione e buon funzionamento. Nel pieno dell’emergenza e dopo aver assistito alla prima ondata sarebbe stato forse ragionevole pensare di attribuire valore, per le finalità sopra espresse, anche agli accertamenti nei laboratori privati per lo meno per gli esiti positivi che, come noto, presentano margini di errore impercettibili a differenza degli esiti negativi che invece hanno margini di errore più ampi.

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