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Michelangelo Ciurleo

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BOTRICELLO (CATANZARO) – Michelangelo Ciurleo ha riposto nel cassetto la fascia tricolore da sindaco di Botricello e ha ripreso, per ventuno giorni, il camice bianco. Quel camice che, per oltre trenta anni di servizio, ha indossato ogni giorno prestando servizio, come cardiologo, nell’Ospedale Pugliese di Catanzaro. E, a quasi un anno e mezzo dalla pensione, ha compiuto una scelta importante scendendo, in prima linea, nella lotta contro quel nemico invisibile che ha il nome di Covid-19. «Quando ho visto le immagini di tutti quei morti e dei medici che lavorano senza tregua, ho avvertito il desiderio di fare qualcosa. Volevo dare il mio piccolo contributo in questa grande lotta» racconta dal reparto Covid di Mirandola (il comune nel modenese nel quale è stato inviato) il cardiologo di 63 anni.

Ciurleo è partito dalla Calabria l’1 aprile scorso aderendo al bando della Protezione civile pensato per dare supporto ai medici e al personale impegnati contro il Coronavirus. Da tutta la Calabria sono partiti 335 medici e 224 infermieri: tutti destinati alle zone del Nord Italia più colpite dal virus.

Martedì prossimo terminerà la sua esperienza a Mirandola, come è stato il ritorno in corsia in questa fase di emergenza?

«È stata un’esperienza sicuramente importante dal punto di vista umano e professionale. Non è stata una passeggiata, si è lavorato e si continua a lavorare senza sosta, senza guardare festivi, giorni di riposo e quanto altro. Continuerò ad essere in servizio fino all’ultimo giorno, così come ho sempre fatto in queste settimane. Posso dire di aver riscoperto e ritrovato le sensazioni che avevo vissuto, da giovane, nei primi anni di servizio quando ho iniziato la professione medica: quei turni infiniti e strazianti, accompagnati dalla voglia di scoprire, mettersi in gioco e portare in campo le conoscenze acquisite sui libri utilizzando e sviluppando soprattutto l’intuizione».

Come si è trovato all’ospedale di Mirandola? Che situazione ha trovato dal lato professionale a quello umano?

«Mi sono trovato molto bene: in questo ospedale abbiamo 4 reparti dedicati solo alla cura di pazienti Covid-19. Mi sono confrontato con un ambiente di lavoro molto professionale, all’altezza dell’importante sfida che siamo chiamati a vincere. L’organizzazione è stata fondamentale e nulla, in questo contesto, viene lasciato al caso: tutto è pensato e organizzato nel minimo dettaglio. Ogni mattina, noi medici e il personale sanitario, abbiamo il compito di contattare i familiari dei pazienti per informarli sulle condizioni dei pazienti ricoverati».

Quale paziente e quale storia più di tutte l’ha particolarmente colpito?

«Ci siamo confrontati e ci confrontiamo con tanta sofferenza e con tanto dolore: ogni paziente lascia il segno e ogni storia insegna sempre qualcosa di nuovo e importante sui valori della vita. C’è stata una paziente che più di tutti mi ha colpito: una ragazza con la sindrome Down di circa 40 anni che ha preso il virus. Lei, tra le altre cose, si prendeva cura della madre ottantenne: la signora, fortunatamente, non ha preso il virus la ragazza e il fratello, invece, sì. Nonostante la sofferenza che ha provato non si è mai arresa e ha lottato con tutte le sue forze. Questa storia mi ha lasciato il segno».

Dal punto di vista medico, invece, quali si sono rivelati utili per sconfiggere il virus?

«C’è stato un paziente di 58 anni che era davvero in gravissime condizioni. Nonostante l’impegno profuso da tutti e nonostante avessimo tentato tutte le cure possibili, la sua salute non migliorava. Abbiamo provato con l’eparina e, per fortuna, siamo riusciti a salvarlo. L’eparina si sta rivelando efficace ed importante. Un altro farmaco che sta dando riscontri positivi è il Tocilizumab, utilizzato contro l’artrite».

Come ha reagito la sua famiglia quando ha comunicato la decisione di partire?

«Sono stati molto contenti ma allo stesso tempo preoccupati, ci sentiamo molte volte nel corso della giornata. La preoccupazione c’è: questo è un virus molto contagioso. Per questo è necessario, anzi indispensabile, indossare i dispositivi di protezione individuale».

Terminata questa esperienza tornerà a fare il sindaco?

«Assolutamente sì. Prima di partire farò, come previsto dai regolamenti, il tampone per assicurarmi che sia andato tutto bene. Non appena risulterò negativo tornerò al comune a Botricello per guidare la mia amata comunità che porto sempre nel cuore. Voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno chiamato e mi hanno inviato messaggi di solidarietà e vicinanza. Tornerò al comune perché abbiamo tanto lavoro da fare e dobbiamo capire quale strada trovare per superare questa fase emergenziale. Non sappiamo, al momento, che stagione estiva ci aspetterà. Dobbiamo ancora prestare molta attenzione, perché questa battaglia non è stata ancora vinta; è un virus può tornare con facilità».

Sindaco, si è pentito di essere partito?

«Assolutamente no. Rifarei questa scelta, senza pensarci due volte. Sono contento e soddisfatto per questa esperienza che, ripeto, non è stata certo una passeggiata e io, nel mio piccolo, ho voluto dare il mio contributo in questa difficile battaglia».

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