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Francesca Prestia, una cantastorie catanzarese ha scritto uno stornello per Lea Garofalo Un racconto in stornelli. Di più. Una letteratura poetico-musicale in cui si affrontano, in chiave ironica o drammatica, miti quali quelli della chanson de geste o le cronache d’attualità. Di questa materia sono fatti i cantastorie. Di impeto e passione, attenti osservatori della realtà e potenti narratori in musica. In Calabria la tradizione è tutt’altro che tramontata. Nei festival, nelle sagre, negli eventi tradizionali sono figure ricercate e apprezzate. Di donne, forse, ne esistono poche. Ma la loro voce è possente e vibrante e affronta ogni racconto con struggente verità. E la storia di Lea Garofalo, la testimone di giustizia uccisa e sciolta nell’acido da sei “vigliacchi” (come li ha definiti lo stesso pm, prima della condanna al carcere a vita) è stata un uragano nel cuore di Francesca Prestia, catastorie catanzarese che ha dedicato una ballata proprio alla donna. «Volevo, principalmente, ringraziare voi tutti della redazione de Il Quotidiano – esordisce la Prestia – per il prezioso lavoro che svolgete giornalmente per noi lettori e cittadini. Nasce proprio in me da un vostro articolo, infatti, l’ispirazione a scrivere e comporre una ballata per non dimenticare la coraggiosa Lea. Ormai da tempo e in vari luoghi canto il brano di Otello Profazio “Melissa”, nel quale l’autore si interroga sui motivi che lo hanno tenuto lontano e distratto dai drammi della gente. Un poeta, un cantastorie non può perdersi nei salotti, chiudersi nella sua torre d’avorio, ubriacare la gente col canto e poi sparire. Ha il dovere di esserci. Di essere accanto alle persone, per diventare la loro voce, se necessario». «Un vostro articolo, di qualche mese fa – confessa la cantastorie – ha strattonato la mia anima. Il suo titolo era “Sognava l’Australia”. Da quel giorno ho seguito la vicenda giudiziaria con grande attenzione e coinvolgimento. Ho apprezzato moltissimo la serie di iniziative promosse per l’Otto Marzo e, ad un certo punto, mi sono chiesta: ed io? io, cantastorie calabrese, posso solo cantare le vicende della Baronessa di Carini, di Angelina Mauro, di Franca Viola e di altre donne del Sud, e far finta che niente stia succedendo, ora, quì, intorno a me e dentro me?» Detto fatto, lo strattone alla sua anima è diventato musica e testo di “La ballata per Lea” «A suggerirmi ciò – ci spiega ancora – è stato il magistrato Sandro Dolce, mio caro amico, al quale ho recentemente fatto ascoltare il brano. Lui ha condiviso con me la forte emozione che provo ogni qualvolta la canto. Presto la eseguirò in pubblico e so che non sarà cosa semplice. Quindici giorni fa, infatti, quando al Teatro Cilea di Reggio Calabria. ho ricordato, durante gli appuntamenti di Tabularosa, il coraggio della siciliana Franca Viola, ho registrato un silenzio particolare, un’attenzione e un ascolto carichi di messaggi muti. Ho capito che, in quanto unica cantastorie popolare calabrese donna (attualmente), ho il dovere di dare voce e canto, sì alla Calabria, alla mia terra, ma principalmente a quelle donne che ne hanno fatto e ne fanno la storia. Ne conservano le sane tradizioni e la ricca cultura». E così la lunga tradizione partita dall’antica Grecia, dagli aedi ai giullari, arrivando agli storytellers del mondo anglosassone, ai cantadores spagnoli e ai folk singer americani, arriva fino ad un inverno del 2012, le riflessioni poetico-musicali fatte di proverbi, racconti, epopee, storie e ballate diventano canto e drammatizzazione di uno degli episodi più penoso e scioccante degli ultimi decenni. La ballata invita gli ascoltatori a piangere per il triste destino di una donna coraggiosa e, narrandone le gesta, si conclude ricordando che la figlia non avrà nemmeno una tomba sulla quale piangere la madre uccisa ma che il suo grido di forza spaccherà le montage: “Nu gridu cchi non mora, cchi spacca li muntagni, cchi trasa ‘nta li cora e non ‘nda nescia cchiù!” La ballata è solo l’ultimo approdo di una passione nata ormai 15 anni fa. «Insegno in una scuola primaria a Catanzaro – ci racconta Francesca – Un giorno ci invitarono ad un concorso sulla storia della seta a Catanzaro e la dirigente mi invitò a preparare qualcosa. Non mi andava di presentarmi con le solite ricerche o tabelloni, così ho avuto l’idea di fare una canzone in dialetto catanzarese sulla storia della seta. I bambini accolsero l’idea con entusiasmo, impararono le canzoni e portammo la canzone in giro e vincemmo diversi premi. Da lì è nata una passione che coltivo molto anche con gli studi. Di pomeriggio gestisco il mio tempo libero in biblioteca o leggendo libri, compongo canto, faccio tecnica vocale. Sono divorziata e ho due figlie di 23 e di 18 anni che mi sostengono molto, mi aiutano e mi danno persino consigli sul look, mi accompagnano anche negli acquisti. Io sono molto essenziale, ma loro sono più estete». Ma la passione per le ballate e gli stornelli e l’impegno nel sociale hanno avuto una genesi comune. «Il mio ex marito – spiega ancora la cantastorie – è un operatore di Giacomo Panizza e io stessa ho fatto parte della comunità Progetto sud per 15 anni, ho accolto tossicodipendenti, ho tenuto corsi serali gratuiti per il conseguimento della licenza elementare e media. Insomma, nel sociale mi sono sempre lasciata coinvolgere. Ma non pensavo che anche con la musica potessi dare un contributo. In passato, proprio perché ho due figlie, ho preferito affrontare tematiche più leggere per evitare di creare loro tensioni e pericoli. Ma poi ho letto la storia di Lea Garofalo e di altre donne come il sindaco Maria Carmela Lanzetta e mi hanno fatto pensare che era arrivato anche per me il momento di rimboccarmi le maniche e avere meno paura e contribuire, in qualche modo, a questa rivoluzione culturale. La musica popolare parla quasi sempre corteggiamento, gioco, cibo, mentre i temi civili e politici non quasi mai trattati, tranne da cantanti come Otello Profazio e Buttitta. E così, questa mia decisione di scrivere la Ballata di Lea è stata sofferta soprattutto perché non riguarda un fatto del passato, lontano e dimenticato. Ma è una ferita è ancora aperta. Penso che in maggio la farò ascoltare per la prima volta e vorrei che ad ascoltarla fosse un ampio pubblico». Francesca è un fiume in piena e si sente motore di questa rivoluzione culturale che parte dalle donne. «Per me, mamma che ho figli – spiega – so che è una delle scelte più difficili coinvolgerli in una decisione dolorosa. Basti anche pensare alle scelte di Giuseppina Pesce e a Maria Cacciola: la preoccupazione più grande per noi mamme è sempre quella che poi ricadrà sui figli. E quindi mi sono sentita interrogata come mamma e come donna, come Lea Garofalo sia stata fortemente motivata nello spezzare quelle catene, come si sia immolata come donna per regalare la libertà alla figlia. Nel sud abbiamo sempre subito il potere maschile, sia esso padre, marito o figlio maschio, ma le donne ora hanno il bisogno di conquistarsi libertà di pensiero e quella decisionale». «Non è un caso – conclude – se nei miei spettacoli trovo sempre tante donne che mi fanno i complimenti. C’è una grande partecipazione del mondo femminile, quindi capisco che ha bisogno di sentirsi alleato». Chissà se dopo Lea, la cantastorie tesserà i fili di altre ballate. «Io mi lascio ispirare dalla vita – ci risponde – In questo caso è stato un articolo di giornale. Magari tra qualche giorno incontrerò un immigrato o un malato di mente e ritornerò a scrivere». Sarà la vita a darle un altro scossone all’anima, e a regalarle l’ispirazione per raccontare, in musica, un’altra storia di dolore o di rinascita. Comunque una storia vera. L’ispirazione grazie a un articolo letto sul Quotidiano della Calabria 

 

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