X
<
>

Condividi:
2 minuti per la lettura

 

CATANZARO – Arriva da Catanzaro l’annuncio tanto atteso dal mondo cattolico meridionale: «Il giorno della beatificazione di don Pino Puglisi sarà probabilmente il 25 maggio 2013». Lo ha detto all’Ansa Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro e postulatore della causa di beatificazione del sacerdote ucciso dalla mafia a Palermo nel 1993.  «L’esempio di Pino Puglisi, a distanza di venti anni dalla sua morte, non è una luce solo per la Chiesa ma lo è per tutta la società civile» ha dichiarato Bertolone aggiungendo che «con questo annuncio del Papa possiamo dire a testa alta che non è la Chiesa anti qualcosa ma in questo caso è la mafia che è anticristiana».

Bertolone ha parlato a margine del convegno “Si, ma verso dove? Chiesa e mafia vent’anni dopo l’assassinio di padre Puglisi”. E la riserva mantenuta sulla data è solo «perchè l’ultima parola spetta al Santo Padre». Ma la data del 25 maggio, ha aggiunto il presule «la possiamo dare con una altissima probabilità».

«Vorrei invitare tutte le istituzioni a riflettere sulle mafie che in Sicilia si chiama mafia, in Calabria è ‘ndrangheta ed in Campania è la camorra – ha commentato l’arcivescovo di Catanzaro -. Vorrei che si riflettesse sugli effetti negativi che le mafie producono nelle nostre terre. La criminalità organizzata impedisce quello sviluppo da tutti desiderato ma in modo particolare per le nuove generazioni che potrebbero essere facile preda calamitate da queste organizzazioni. E proprio in questo ragionamento si innesta la figura di Pino Puglisi che è una luce per tutta la società».

Bertolone è intervenuto indirettamente anche sulla questione del perdono ai mafiosi: «La linea civile e la linea ecclesiastica non sono in contrato tra loro: la Chiesa – ha aggiunto – non può non essere nella stessa linea della società civile nel condannare, nel denunciare, nel chiedere la giusta pena per gli affiliati alla ‘ndrangheta. Ma allo stesso tempo non possiamo rinunciare alle nostre prerogative che fanno parte del nostro Dna. Bisogna sempre ricordare che c’è il peccato di mafia, il peccato di essere ‘ndranghetista per il male che fai. È vero che il concetto di peccato, ultimamente, si è molto diluito ma per noi resta una categoria seria e grave. Se lo ‘ndranghetista capisce che con le sue azioni si offende Dio e non solo una creatura e dice, allo stesso tempo, di essere credente allora la chiesa non deve mai venir meno al pensare che uno può pentirsi e conventirsi».

Redazione web

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE