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I fondatori del Nido di Seta

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DA tutto il mondo in Calabria per abbracciare un gelso: a San Floro “adottati” 230 alberi in un anno ed è tempo per un primo bilancio dell’iniziativa della cooperativa Nido di Seta alla soglia del decennale dalla fondazione.
La bachicoltura contro lo spopolamento e per una nuova idea di turismo consapevole.

Nel centro delle serre catanzaresi già noto per la riscoperta dei grani antichi (LEGGI) il genius loci va assolutamente aggiornato con l’esperienza della cooperativa Nido di Seta. 

Quella dei giovani gelsi-bachicoltori Giovanna Bagnato, Miriam Pugliese e Domenico Vivino è una delle tante storie di “emigrazione di rientro” come sempre più se ne registrano in Calabria, e in particolare legate proprio alla tradizione contadina: la laurea, poi il lavoro e la formazione fuori (fino in Asia) per tornare e scommettere su una nicchia non certo facile.

Oggi i tre ragazzi si definiscono “produttori di seta con certificazione biologica” e così presentano la loro attività: “alleviamo il baco e creiamo pezzi unici di seta tinta esclusivamente con pigmenti naturali”. 

Proprio in questi giorni compie un anno la loro campagna #adottaungelso, avviata il 20 novembre 2020: in 12 mesi “più di 230 gelsi sono stati adottati da persone provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo”, scrivono su fb. “La cosa che ci ha fatto più piacere – si legge nel post – è che molti di loro facendo chilometri e chilometri sono venuti a trovarli di persona passando poi una bellissima giornata all’insegna della natura, dell’artigianato e della tradizione”. 

Ma oltre che divulgazione – nel Museo della Seta ospitato in un palazzo del Quattrocento – e svago, Nido di Seta significa anche opportunità di lavoro, il che nella Calabria campionessa di disoccupazione giovanile non guasta. 

Giovanna, Miriam e Domenico creano tessuti e abiti da sposa seguendo tutta la filiera e coinvolgendo maestranze artigianali locali. Intanto propugnano la loro idea di ecoturismo ospitando visitatori da tutta Italia: sull’inserto economico del Corriere della Sera di recente hanno anche fornito qualche cifra, e cioè 6500 presenze nel 2019, più del quadruplo delle 1500 annue iniziali.

L’iniziativa di adottare un gelso è un modo per ripartire durante lo stop legato alla pandemia. L’adozione si può regalare, facendo un “dono speciale” (tanti i prodotti che si possono scegliere adottando un albero) e “sostenendo la costruzione di un modello di sviluppo economico alternativo per contrastare lo spopolamento delle aree interne calabresi”. 

Purtroppo, già nel 2019 un incendio aveva minacciato il loro tesoro verde (LEGGI) allora non fu esclusa la pista dolosa) e la scorsa estate non è andata meglio vista l’emergenza su tutta la regione.  

Ma la coop va avanti. Con una frase di Proust come filosofia di vita (“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”) e un’idea chiara: “Restare in Calabria non significa, per noi, chiudersi a riccio, porre limiti culturali o accettare la realtà odierna. Siamo convinti che il nostro impegno sia utile per portare un po’ di questa terra di confine in giro per il mondo”. Intanto, sono riusciti anche a portare un po’ di mondo in Calabria: per abbracciare un albero, in un anno drammatico.

E l’anno prossimo saranno dieci anni che il loro sogno fatto di 3500 gelsi (300 si sono aggiunti col tempo) e 50mila bachi l’anno (obiettivo 70mila) è diventato realtà.  

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