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Marco Risi

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NON gli piace farsi chiamare maestro perché non crede di meritare questo titolo e, di conseguenza, trova disagio a definire una masterclass quella che terrà nel pomeriggio di oggi a Catanzaro nell’ambito del Magna Graecia Film Festival. Marco Risi, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, con un cognome importante che riporta immediatamente alla mente il grande Dino, suo padre, giunge in Calabria per incontrare i cinefili che lo attendono con impazienza. Al Quotidiano, anticipazioni e curiosità in vista dell’incontro odierno.  

Il cinema cambia. Ma come sta cambiando? C’è speranza di ritrovare mostri sacri come Gassman, Sordi, De Sica, lo stesso Risi padre?  

«Il cinema cambia come tutte le cose, dalla medicina all’architettura. Cambia la recitazione e non so se questa stia mutando in meglio. Cambia la chiave di lettura, il modo di raccontare anche un avvenimento. Un tempo si ricorreva alla commedia all’italiana, oggi questa si è persa perché è difficile trovare attori, registi, sceneggiatori di quella portata. Ma non tutto cambia in peggio».  

Secondo lei, qual è il valore imprescindibile in questo campo?

«Sono due: il sentimento e l’energia. Il sentimento è quello che si riesce a trasmettere attraverso il film, che non deve essere per forza di genere sentimentale. È il sentimento vero e proprio che è racchiuso nel film. L’energia diviene così fondamentale, perché senza questa il sentimento rischia di essere fine a se stesso».

Oggi ci sono registi che conservano questi valori? Si riesce ancora ad osare?

«Tanti registi osano. Penso a Garrone, Sorrentino, i fratelli D’Innocenzo con Favolacce. Ultimamente, ho apprezzo tanto il film diretto da Antonio Pisu, “Est – Dittatura Last Minute”».

Sarà in programmazione proprio questa sera al festival…

«Non lo sapevo, fanno bene! Ci sono delle scene davvero bellissime dove giocano un ruolo chiave la bravura del regista e la sceneggiatura del film».  

La pandemia ha accentuato l’esplosione delle serie tv e dei film in streaming. Come valuta questo avvenimento?

«Non credo cambi tanto in termini di regia, quanto più nel rapporto con il pubblico in sala. Questo virus non ha fatto altro che incentivare un isolamento che è lontano da quelle sale stracolme si spettatori che condividevano emozioni ed energie in qualunque genere di proiezione. Ma ci sono serie molto belle e ben fatte».  

Ad esempio?

«L’anno scorso ho visto “The Crown”, un vero esempio di cinema. Ben fatta. Ho apprezzato tanto anche “Call my agent”, per non parlare poi di “Breaking bad”. Anche se la prima, quella che considero davvero un capolavoro, è “Il Soprano”».  

Ma andiamo ai suoi capolavori, che sono tanti. Ce ne fu uno particolarmente discusso: “L’ultimo capodanno”. Oggi, nelle sale, sarebbe stato accolto meglio rispetto all’esordio nel ‘98?

«Secondo me sì, anzi c’era qualcuno che avrebbe voluto riportarlo e non sarebbe una cattiva idea».  

Neanche un mese fa, con immane dolore, abbiamo salutato Libero De Rienzo. Lei ha avuto il piacere di dirigerlo sul set di Fortapàsc. Che ricordo ha di lui?

«Faccio molta fatica a parlare di lui al passato. È stato e continua ad essere un dolore troppo grande. Guardo in questo momento una sua foto e mi perdo nel suo sguardo, un volto così bello. Non era solo un bravissimo attore con una grande sensibilità ed un occhio attento, ma anche tecnico esperto. Si intendeva di regia e fotografia e sul set preferiva quasi l’aspetto tecnico a quello della recitazione. Mi manca molto».  

Cosa c’è ora nel futuro di Marco Risi?

«Ho un progetto molto importante che partirà il prossimo anno. Un’idea a cui stavo dietro da tempo e che ora vedrà la luce grazie al supporto di due sceneggiatori, quali Riccardo Di Torrebruna e Francesco Frangipane. Si intitola “Il punto di rugiada”. Sarà un bel film, mi sento sicuro di questa sceneggiatura».  

La kermesse che la ospita oggi è incentrata, principalmente, sulle opere prime e seconde. Può essere un incentivo per chi si affaccia a questo mondo, quello della regia?

«Chi riesce a realizzare il suo primo film già andrebbe premiato a prescindere. Il più difficile però è il secondo, perché se il primo lo hai sbagliato sarà dura farne un altro. Forse il segreto sarebbe partire direttamente dal secondo, magari mettendo a qualsiasi titolo un “2” alla fine (ci ride su, ndr)».

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