X
<
>

Filippo Calipari, Elio Giovinazzo ed Eugenio Renda ritrovatisi a San Lucido

Condividi:
3 minuti per la lettura

LAMEZIA TERME (CATANZARO) – Era il 1961 e a Lamezia Terme cinque giovani di belle speranze si riunivano in un magazzino del dopolavoro ferroviario per fare musica. Tra un disco acquistato da “Cavalieri”, sul corso principale, e il sogno di diventare rockstar, quei cinque aspiranti performer non avrebbero mai immaginato che di lì a poco sarebbero stati acclamati da tutt’Italia e finanche dall’Australia, terra, tra l’altro, da cui i fratelli Barry, Robin e Maurice Gibb, meglio conosciuti come Bee Gees, avrebbero presto fatto partire una telefonata di complimenti e congratulazioni verso la Calabria.

Chi erano quei fantastici cinque? Ebbene, non ci sono dubbi. Erano gli inimitabili Beatles di Nicastro che, in omaggio alla terra di provenienza, decisero di chiamare la propria formazione musicale “I Bruzi”.

GUARDA LE FOTO

Oggi, nel momento in cui compiono idealmente sessant’anni, tre di loro – Filippo Calipari (chitarre), Elio Giovinazzo (basso) ed Eugenio Renda (batteria) – si rivedono per la prima volta dopo l’avvenuto scioglimento della beat band («Perché ci siamo sciolti? Perché mi sono sposato», risponderà a questo giornale Calipari). E l’emozione, nel corso dell’incontro avvenuto a San Lucido e a cui Il Quotidiano del Sud ha avuto l’opportunità di partecipare, non può che toccarsi con mano.

«Partecipammo a un concorso di musica e, senza alcuna aspettativa, vincemmo: quella competizione ci lanciò sul mercato dei professionisti. Firmammo un contratto discografico, il nostro primo contratto discografico, con l’Ariston Records e così pubblicammo tre 45 giri», ricordano i Bruzi, sottolineando pure che sotto a quella stessa etichetta c’erano nomi del tipo Ornella Vanoni, I Corvi, Fausto Leali e Bindi. Erano, del resto, i tempi dei Dik Dik, dei Camaleonti, dei Nomadi e dell’Equipe 84: i Bruzi (della band facevano pure parte Carlo Dell’Agli e Salvatore Colloca) nulla, anche in termini di fama, avevano da invidiargli, tant’è vero che Filippo Calipari ricorda i mille incontri con le personalità del momento e le ospitate negli show che contavano.

«Ci puoi svelare cos’hai risposto a Mike Bongiorno quando t’intervistò?», chiedono Giovinazzo e Renda al compagno che, tuttavia, quella battuta pronunciata al cospetto del grande conduttore televisivo non riesce proprio a ricordarla. Ma meglio così perché, perduto nelle traduzioni, Calipari passa a narrare altri aneddoti («Vi ricordate quando Mara Maionchi ci accolse all’Ariston?»), altre storie che, più in particolare, hanno a che fare con le ammiratrici («Ce n’è una di Lamezia che mi ha chiamato una settimana fa»), con la difficoltà di farsi accettare in quanto “musicista” dalla famiglia, con la Fender rossa fiammante comprata a caro prezzo e, ancora, con l’abbigliamento dei Bruzi («Ci vestivamo da hippy. Compravamo le stoffe a Vibo Valentia e poi un amico sarto ci cuciva gli abiti. Anche gli stivaletti che calzavamo erano fatti a mano»).

In quanto a musica, poi, oltre agli ulteriori tre dischi pubblicati con la Ri-fi Records e al 33 giri del “tramonto” («Un disco bellissimo, poco pubblicizzato a causa del nostro scioglimento datato 1972»), i Bruzi passano a illustrare i loro successi più grandi. Tra questi si annoverano la già citata cover dei Bee Gees, “Massachuttes”, e il singolo “Ero l’attendente del Kaiser”, il cui motivo fischiato fa subito pensare alla colonna sonora del film del 1957 di David Lean, “Il ponte sul fiume Kwai”. «Noi Bruzi, a ogni modo – dice tutto il gruppo – ci ispiravamo ai Beatles. John Lennon e Paul Mccartney sono sempre stati i nostri modelli e tra le canzoni – aggiungono – che ci stanno più a cuore, così come ci sta a cuore il ricordo di tutta quella gente che veniva entusiasta ad ascoltarci, si può annoverare “Una volta si moriva per amore”, per il cui testo collaborammo col paroliere Alberto Testa, lo stesso di “Grande, grande, grande” di Mina».

E nel 1961 si moriva anche per la musica; musica che, nonostante i tre abbiano abbandonato per intraprendere strade differenti (c’è chi ha aperto una boutique a Lamezia, chi è diventato impiegato comunale o regionale), è stata, dagli stessi Bruzi, trasmessa a figli e nipoti. «La passione – conclude Filippo Calipari – è rimasta, ma soprattutto è rimasta quella consapevolezza secondo cui la musica sia una cura; una cura alle insoddisfazioni della vita, alla nostalgia, ai malumori, a tutto quanto».

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE