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Il pittore Giosino Filosa, che opera a Cosenza nella sua bottega in piazza Duomo, ha organizzato una mostra di 49 ritratti di «persone strane e interessanti», come scrive l’artista in una nota per la sua personale.
Tra i 49 volti di cosentini – 15 sono donne – c’è anche lui, e poi il vecchio leader socialista Giacomo Mancini, il prof. Franco Piperno, il regista teatrale Vincenzo Ziccarelli, lo scrittore Coriolano Martirano, la scrittrice Rita Fiordalisi, il cantastorie William Gatto, la giornalista Anna Rosa Macrì; l’unico “straniero”, il fondatore del Museo di arte moderna di Mammola, Nik Spatari, amico di vecchia data di Filosa. Tra i tanti personaggi «che mi hanno insegnato una qualità di vita semplice e leggera» scrive ancora Giosino, c’è anche Vincenzo Rago.
Ma chi è Vincenzo Rago? Vincenzo è un uomo semplice, che quasi tutti i cosentini conoscono; lo si incontrava fino a qualche anno fa all’Ospedale dell’Annunziata, a portare camera per camera, un santino, immaginette che quotidianamente comprava (possibilmente con il santo del giorno) nel negozio di articoli religiosi di Umile Trausi su corso Telesio, a pochi passi dalla bottega di Filosa. Qualche anno fa, Vincenzo fu sgridato e gli fu vietato di disturbare i pazienti e i parenti dei degenti. Ora passeggia per corso Mazzini chiedendo ai passanti una monetina per fare colazione, anche se spesso il suo pranzo e la sua cena li consuma a Casa San Francesco (l’ex Oasi francescana).
Il suo ritratto farà bella mostra di sé, dal 2 al 22 novembre 2014 nel Museo delle arti e dei mestieri (Palazzo Carical – corso Telesio); però per Vincenzo, non è la prima volta ad essere stato immortalato; prima di Filosa ci aveva pensato il suo papà, il maestro Pasquale Rago, artista della pietra e del legno, anche lui con una bottega nel centro storico, in piazza Parrasio; deceduto una ventina di anni fa.
Pasquale Rago aveva ricevuto nel 1978 una commessa, da parte della parrocchia di Serra Spiga, di realizzare una grande statua in legno di ulivo di San Giuseppe lavoratore, da esporre alla venerazione dei fedeli. Pasquale si era ritratto lui stesso nelle vesti del falegname – in fondo era uno che con il legno ci sapeva fare – e come Gesù che aiutava – prese a modello il suo bambino Vincenzo – all’epoca più che un ragazzino.
Dopo la solenne intronizzazione della statua (ci sono delle foto che ritraggono il trasporto dal centro storico a San Vito passando per corso Mazzini su un camion debitamente addobbato), più di un fedele, fece notare al parroco che il Bambino Gesù «dal collo freddo e lungo», somigliava “troppo” a Vincenzo il figlio handicappato dell’artista. Ci fu qualcuno che si offrì di comprare una nuova statua, una di quelle in serie che si vendono nei negozi di arte sacra nei pressi del Vaticano a Roma, e così fu; la nuova immagine del santo patrono della parrocchia, fu anche benedetta, durante un’udienza del mercoledì, da Giovanni Paolo II.
L’opera di Rago venne accantonata in un magazzino… in attesa di tempi migliori; che arrivarono dopo l’improvvisa morte di mastro Pasquale. Quando qualcuno si prese la briga di spiegare il grande “realismo” che quella scultura in legno di ulivo rappresentava, nessuno più si oppose a che la statua venisse ricollocata nella sua nicchia. Da allora, quelli che conoscono questa storia, quando incontrano l’uomo che chiede una monetina «per farmi un panino», non lo identificano più come un semplice questuante, ma come il modello di un Gesù vicino agli ultimi, ai più indifesi, proprio come sottolinea quotidianamente con il suo dire papa Bergoglio.

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