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Le motivazioni della sentenza della Corte di Appello di Catanzaro

PAOLA (COSENZA) – Il reato ambientale è accertato. Chi lo ha causato resta ancora senza volto. Ci sono almeno 107 decessi di operai che gridano vendetta. Non ci sono responsabilità accertate per soddisfare la sete di giustizia delle famiglie dello stabilimento Marzotto-Marlane, dismesso nel 2004.

Ma c’è un punto importante: a Praia a Mare c’è stato un disastro ambientale, «sono state individuate grandi quantità di sostanza tossica e irritante sepolta nel terreno, che può interagire sulla popolazione circostante» e «la tipologia delle sostanze è del tutto associabile ad attività di tessitura come quelle attuate presso la Marlane».

LEGGI: LA NUOVA INCHIESTA SUL CASO MARLANE

 

Le motivazioni della sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro del 25 settembre (LEGGI), depositate nei giorni scorsi, ci consegnano due verità giuridiche: l’assoluzione dei dodici imputati perchè “il fatto non sussiste” in alcuni casi o per “insufficienza di prove” in altri, e la presenza nel sottosuolo di sostanze “estremamente pericolose” per l’ambiente e la salute delle persone. L’edizione cartacea di oggi del Quotidiano ricostruisce con diversi approfondimenti l’intera vicenda.

Negli ultimi anni tre indagini della Procura della Repubblica di Paola hanno tentato di dimostrare nelle aule di tribunale che tumori, neoplasie e leucemie fossero causate dalle sostanze tossiche sprigionate dai coloranti e dalla polvere di amianto rilasciata dalla consunzione dei freni dei telai. La prima inchiesta non è arrivata neanche a giudizio. La seconda e la terza, riunite poi in un unico procedimento penale, hanno portato a processo undici persone, tra cui il vertice del gruppo, Pietro Marzotto, e i responsabili dello stabilimento, Attilio Ruisse e Carlo Lomonaco. Tutti accusati a vario titolo di disastro ambientale, omicidio colposo plurimo e lesioni gravissime e tutti assolti in primo grado per insufficienza di prove e in appello, nel settembre scorso.

Secondo i magistrati «pur dimostrata la sussistenza dell’elemento oggettivo della fattispecie ad oggetto dell’imputazione in questione, la soluzione del caso non conduce all’affermazione della responsabilità degli imputati». Se le responsabilità non hanno nomi, le cause e le drammatiche conseguenze hanno un nome e cognome: si chiama disastro ambientale. A Praia a Mare si muore da anni per tumori e leucemie, oggi, nelle motivazioni di una sentenza di un tribunale, si conosce forse il perché. I periti hanno messo nero su bianco l’esito dei risultati effettuati sui campioni di materiale presente nel sottosuolo.

A destare l’attenzione, in particolare, è la relazione di Giacomino Brancati, attuale commissario straordinario dell’Azienda sanitaria di Reggio Calabria, sull’attualità del rischio per la popolazione residente.

Nelle conclusioni il professionista sostiene, «l’esistenza di un indice di rischio ‘non accettabile’ per i bambini residenti, in relazione a diversi fattori contaminati, tra cui Arsenico, Cromo VI, Mercurio, Piombo, Nichel e Vanadio e non accettabile negli adulti residenti per Arsenico e Mercurio dal suolo superficiale e per Mercurio dal suolo profondo e dalla falda, oltre ad un rischio non accettabile per la risorsa idrica sotterranea, in relazione patricamente a quasi tutti i metalli pesanti rinvenuti». Brancati, inoltre, rileva che il sollevamento delle polveri sottili dal suolo di superficie «comporta il rischio che i cittadini, adulti e bambini, che abitano nelle aree residenziali di Tortora Marina e di Praia a mare, a ridosso dello stabilimento, siano esposti all’inalazione ed ingestione di polveri contaminate e quindi ad un rischio ‘non accettabile’, con pericolo del tutto imminente per la risorsa idrica sotterranea, che amplia ancor di più l’area di rischio, al di fuori del perimetro dello stabilimento».

A supportare la tesi c’è anche la relazione del dirigente chimico dell’Arpacal, Rosaria Chiappetta, secondo cui è stata riscontrata nei campioni esaminati una “elevatissima” presenza di cromo, materiale solitamente presente nei coloranti, sostanza estremamente pericolosa. Rame e zinco sono presenti in misura più del doppio consentito, e del quadruplo per lo zinco.

«Con ogni probabilità – scrive Chiappetta – è stato sversato nel suolo un grande quantitativo di cromo 6, ridottosi chimicamente per via delle condizioni naturali e del normale decorso del tempo». Relazione che non lascia spazio a dubbi è quella dell’ordinario di chimica analitica dell’università del Molise, Mario Russo, che in qualità di esperto nominato dal comune di Praia, sostiene nella sua relazione che «è possibile concludere senza timore di smentita che il composto A (Cas 102-50-1, 2-metil-4-metossibenzennamina) impiegato come intermedio nella sintesi dei coloranti azoici o per altri usi industriali è stato rinvenuto nel terreno antistante l’impianto produttivo Marlane di Praia a Mare. Tale composto – continua Russo – è classificato dalla letteratura scientifica internazionale come tossico e irritante e può provocare il cancro».

Pertanto secondo Russo «lo sversamento nella matrice ambientale del suolo» ha determinato un «disastro ambientale». Uno scenario inquietante che descrive come per anni una terra bella e dannata sia stata violentata, avvelenata, condannata a morte dallo sversamento illegale di sostanze altamente dannose per l’ambiente e per l’uomo.

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