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COSENZA – Quaranta posti occupati su sessantasei disponibili. Ovvero ventisei bambini tagliati fuori, forse qualcuno rimasto perfino a casa. Le iscrizioni all’asilo di via Livatino, uno dei due nidi pubblici di Cosenza, quest’anno sono calate a picco.

Colpa di carenze da parte del personale, di qualche falla gestionale? In realtà, i genitori si esprimono in modo unanime a favore della preparazione delle educatrici e sulle attenzioni e la cura costanti rivolte ai loro figli.

Il punto a quanto pare è un altro: sono le rette aumentate esponenzialmente nel corso degli anni, con un balzo del 50% in più rispetto al 2020, cifre che hanno costretto molte famiglie a ritirare le iscrizioni in corso d’opera e a virare su strutture private. Che, paradossalmente, a volte sono meno gravose per le loro tasche.

I numeri fanno riflettere: per i residenti a reddito zero il contributo richiesto è di 50 euro per il part time, a fronte di nessuna spesa negli anni passati; con un Isee fino a 6000 euro per il tempo pieno si pagano 130 euro, mentre l’anno scorso se ne versavano 80 (e molti di meno negli anni precedenti). Per i non residenti a Cosenza le cose vanno anche peggio: 320 euro per il part time, 420 per il full time, indipendentemente dal reddito. Praticamente un mutuo.

«Mi dispiace molto di questo aumento», dice A. che parla di un’esperienza molto soddisfacente nei due anni in cui il figlio ha frequentato il nido, «in termini di pulizia, igiene, sicurezza, rispetto delle regole».

«Le maestre – ci tiene a sottolineare più volte – ci hanno garantito un servizio impeccabile, Gabriele (nome di fantasia) ha fatto progressi incredibili grazie a loro. Però per me è complicato pagare 160 euro mensili, con un reddito di 8000 euro all’anno. I costi non rispecchiano lo stato economico delle famiglie, così si lede un diritto che dovrebbe essere assicurato a tutti».

Alla preoccupazione per le rette gonfiate si aggiunge quella dell’orario ridotto, perché quest’anno i bambini restano a casa anche il sabato e durante tutte le festività natalizie – dal 23 dicembre al 7 gennaio –, laddove invece, fino ad ora, l’asilo chiudeva i battenti solo nei giorni segnati in rosso sul calendario.

Addio anche agli sconti sull’iscrizione del secondo figlio nella stessa classe, come nel caso dei gemelli, circostanza che – sostiene Anna Cupelli, tra le educatrici di via Livatino – «è di prassi tra le aule della scuola».

Nel frattempo, proprio le educatrici lamentano la riduzione delle ore di lavoro e il conseguente dimezzamento dello stipendio. E giurano che con le 3 ore al giorno di quest’anno – a fronte delle 6 come da contratto fino al 2020 – non riescono ad assicurare ai genitori continuità e prestazioni di livello.

Ma la scelta sembra obbligata da parte della cooperativa che gestisce il nido: «Avremmo dovuto licenziare parte delle dipendenti, ma non ce la siamo sentita, abbiamo preferito optare per una politica più equa e procedere con decurtamenti lineari che hanno coinvolto tutti», spiega Alessandra Lo Bianco, responsabile servizio educativo Adiss.

All’origine della logica dei tagli c’è quello che a primo acchito sembrerebbe essere un cavillo formale che però contribuisce in modo sostanziale ai disservizi nella gestione degli asili. In sostanza, con la scelta lo scorso agosto da parte del Comune di indire non più una gara d’appalto ma un bando in concessione, la cooperativa assume su di sé oneri che prima erano demandati al pubblico. Tradotto: l’amministrazione concede solo i locali, senza mettere mano al portafoglio.

E quindi, tra bollette da pagare e spese per il personale e per la pulizia degli edifici, l’Adiss fatica a rimanere a galla e ritocca al rialzo le rette dei bambini. Pare che il bandolo della matassa debba essere ricercato nel dissesto finanziario del Municipio, e si sa: se la coperta è corta, più si tira e più restano parti scoperte. Ma per quest’anno, probabilmente, les jeux sont faits.

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