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Eugenio Facciolla

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COSENZA – Rinvio a giudizio per tutti gli imputati. È questa la richiesta formulata ieri in aula dalla Procura di Salerno a carico del magistrato cosentino Eugenio Facciolla, sotto inchiesta per corruzione in atti d’ufficio insieme all’agente di polizia stradale Vito Tignanelli e a sua moglie Marisa Aquino e per la presunta falsificazione di atti d’indagini in tandem con il maresciallo dei carabinieri forestali, Carmine Greco. Alla requisitoria del pm Luca Masini, che a supporto della sua richiesta ha prodotto anche un’ulteriore documentazione poi acquisita dal gup, ha fatto seguito un surplus di dichiarazioni spontanee dello stesso Facciolla dopo quelle torrenziali rilasciate già nel corso della precedente udienza.

Il nuovo contrattacco dell’ex procuratore di Castrovillari è stato, però, interrotto dal giudice che, alla luce della necessità di fonoregistrare le sue dichiarazioni, ha rinviato i lavori al prossimo 20 luglio, data in cui dovrebbero cominciare anche le arringhe difensive. L’udienza preliminare, invece, si concluderà il prossimo 7 settembre, data in cui il giudice campano deciderà in merito al proscioglimento o al rinvio a giudizio degli imputati.

A Facciolla, gli inquirenti campani contestano alcuni incarichi per attività intercettive assegnati dal suo ufficio alla “Stm srl”. un’azienda del settore già sotto inchiesta a Napoli per l’affaire Exodus, il software spia commercializzato proprio dalla ditta Tignanelli-Aquino che, oltre a violare in modo abusivo i telefoni di centinaia di persone, avrebbe messo a rischio anche i segreti di numerose Procure italiane che lo avevano in uso. Riguardo alla vicenda salernitana, invece, l’ipotesi accusatoria è che, a fronte degli incarichi ricevuti dalla Procura di Castrovillari, la Stm abbia ricambiato la cortesia con un sistema di videosorveglianza impiantato sotto casa del Facciolla e mettendo anche a sua disposizione anche una sim card.

La genesi della vicenda risale al 2018 con le indagini della Procura di Catanzaro sui rapporti pericolosi tra la ‘ndrangheta e il maresciallo Carmine Greco, un tempo stretto collaboratore di Facciolla, ma oggi sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Gli accertamenti disposti all’epoca sul conto del sottufficiale fanno emergere anche dubbi di irregolarità a carico del procuratore del Pollino – tra cui una serie di presunte falsificazioni di atti d’indagini, una delle quali contestate anche a un altro carabiniere, Alessandro Vincenzo Nota – circostanze che inducono l’ufficio di Nicola Gratteri a inviare la documentazione del caso a Salerno, competente per indagini a carico di magistrati del distretto di Cosenza e Catanzaro.

Tale episodio è all’origine del deterioramento dei rapporti tra lo stesso Gratteri e l’allora procuratore generale della Corte d’Appello, Otello Lupacchini, che in seguito contesterà al dominus dei pm catanzaresi di essersi spogliato in ritardo della competenza sull’inchiesta, continuando così a indagare in modo da lui ritenuto illegittimo. Lo stesso tema è stato ripreso anche da Facciolla durante la scorsa udienza, unitamente a una lunga serie di ombre da lui gettate sui criteri di conduzione dell’inchiesta. Nel corso della sua lunga autodifesa, l’ex procuratore oggi declassato a giudice civile e trasferito dal Csm in quel di Potenza, si è anche proclamato vittima di «un omicidio professionale».

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