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COSENZA – Due presunti gruppi criminali, uno dedito al traffico di droga; l’altro alle estorsioni in stile mafioso. Si occupa soprattutto di questo l’inchiesta “Overture” giunta nelle scorse ore al suo secondo giro di boa con la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Dda di Catanzaro su trentuno persone. I riflettori sono puntati anzitutto su Alfonsino Falbo, genero del boss ergastolano Franco Perna che la Dda vuole alla guida di un gruppo di spacciatori attivo in città, come adombrato da intercettazioni e pedinamenti eseguiti dai carabinieri del comando provinciale.

L’accusa mossa nei loro confronti è di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. L’ipotesi è che il commercio della droga in città sia gestito in modo unitario dai clan con la supervisione di un’entità criminale chiamata “Sistema” e che, in questo contesto, il gruppo di Falbo – con Sergio Raimondo e Riccardo Gaglianese inquadrati come organizzatori e promotori – rappresenti solo una parte delle persone coinvolte nel giro. A spiegarlo sono tre collaboratori di giustizia di ultimo pelo come Giuseppe Zaffonte, Celestino Abbruzzese e sua moglie Anna Palmieri le cui dichiarazioni sul tema sono allegate agli atti dell’inchiesta e descrivono il nuovo assetto delineato dai boss locali per spartirsi il mercato dei narcotici.

L’altro uomo d’interesse dell’inchiesta, secondo gli investigatori antimafia, è Gianfranco Sganga, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine che, dopo aver scontato nove anni di carcere per associazione mafiosa, una volta tornato in libertà avrebbe occupato uno spazio criminale importante soprattutto in tema di estorsioni. In tal senso, sono tre gli episodi finiti nel mirino della Direzione antimafia: si tratta dei tentativi d’infiltrazione nei lavori di ammodernamento degli impianti di illuminazione dell’Unical, in quelli di ampliamento dell’ospedale dell’Annunziata e, terzo e ultimo caso, nel restauro del convento di San Francesco di Paola. In tutte e tre le circostanze, gli inquirenti ritengono che i racketeer presentatisi in tempi diversi sui rispettivi cantieri abbiano agito a nome e per conto di «Gianfranco di San Vito».

Inizialmente, per lui e i suoi presunti complici era stata confezionata l’accusa di associazione mafiosa, ma in seguito il Tribunale del Riesame ha messo in forte dubbio la bontà di questa ipotesi, tant’è che la stessa Procura ha rinunciato a portarla avanti. Restano in piedi, dunque, le accuse relative alle tre tentate estorsioni. Nel frattempo, nelle scorse ore, proprio uno degli imputati collegati alla posizione di Sganga – Emanuele Apuzzo – ha lasciato il carcere e ha ottenuto gli arresti domiciliari. A stabilirlo è stato il gip distrettuale su istanza presentata dai suoi difensori, gli avvocati Filippo Cinnante e Giuseppe Malvasi. Si attende ora la data in cui si svolgerà l’udienza preliminare.

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