X
<
>

Il tribunale di Cosenza

Condividi:
2 minuti per la lettura

COSENZA – «I miei fratelli hanno tentato di convincermi a ritrattare offrendomi centomila euro». Il collaboratore di giustizia Celestino Abbruzzese alias “Micetto” lo ha dichiarato ieri sulla scena del processo – nome in codice “Testa del serpente” – che, fra gli altri, vede proprio alcuni dei suoi congiunti più stretti sotto accusa per droga, armi, usura e  una serie di estorsioni aggravate dal metodo mafioso.

Celestino, pentitosi nel dicembre del 2018, proviene dal clan dei nomadi cosentini, in particolare da una delle famiglie più importanti della consorteria, quella dei “Banana”. Il tentativo di abboccamento che lo riguarda si sarebbe consumato alcuni mesi fa, mentre  era detenuto nel carcere di Rebibbia nel braccio riservato ai collaboratori. I fratelli, recatisi in visita al detenuto, non l’avrebbero poi incontrato per l’opposizione della polizia penitenziaria, ma stando a ciò che riferisce il diretto interessato, gli avrebbero fatto pervenire in seguito l’offerta economica attraverso altri familiari. Offerta respinta, a giudicare dalle parole con cui il collaboratore ha rivendicato la propria scelta: «Non l’ho fatto per soldi, volevo cambiare vita». 

Celestino Abbruzzese, 45 anni, all’atto del suo pentimento avrebbe dovuto scontarne tredici in carcere, frutto di una condanna per traffico di stupefacenti. Il suo è un pentimento importante dal punto di vista investigativo perché interessa il clan dei nomadi, da sempre impermeabile a defezioni di questo tipo. Micetto, in tal senso, è il terzo di un risicato elenco che, prima di lui, annovera Franco Bevilacqua (2001) e Franco Bruzzese (2016), e anche per questo, con la sua collaborazione, rappresenta una novità di rilievo nel panorama del crimine locale.

È figlio di Fioravante Abbruzzese – il capostipite dei “Banana” –  ed è sposato con Anna Palmieri, la donna che ha condiviso con lui la scelta collaborativa e con la quale, in precedenza, guidava una banda che, prima di essere sgominata nel 2015, era riuscita a monopolizzare il traffico di stupefacenti nel centro storico.

Un piccolo polverone si è sollevato al termine della sua deposizione avvenuta in videoconferenza. Alcuni avvocati, infatti, hanno avuto l’impressione che il pentito si stesse scattando un selfie e hanno denunciato l’accaduto ai giudici. I poliziotti presenti nel sito riservato hanno minimizzato, spiegando che Abbruzzese aveva solo ricevuto un messaggio sul suo telefonino, ma uno dei legali ha chiesto ugualmente l’acquisizione delle registrazioni filmate.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE