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Franco La Rupa

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PAOLA (COSENZA) – La Cassazione accoglie i ricorsi del Procuratore di Paola, Pierpaolo Bruni, annullando con rinvio l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Catanzaro (LEGGI) con cui veniva a sua volta annullata l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Paola (datata dicembre 2019, LEGGI) che aveva applicato a Franco La Rupa ed a suo figlio Antonio la misura della custodia cautelare in carcere.

I reati contestati a vario titolo, nell’ambito dell’inchiesta sull’olio taroccato (venduto per “biologico”), sono quelli di truffa aggravata e autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori e diversi altri. L’ex sindaco di Amantea ed ex consigliere regionale, infatti, è accusato anche di tentata estorsione e calunnia.

La Cassazione ha accolto il ricorso (“fondato”) della Procura di Paola perché l’ordinanza del Riesame “è affetta da contraddizioni motivazionali su tre punti (due nel caso di Antonio La Rupa, ndr) fondamentali della ricostruzione offerta”. Ma andiamo con ordine.

Il Tribunale del Riesame non ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza dei reati di truffa aggravata e autoriciclaggio, consistiti – secondo l’imputazione – nell’avere il Franco La Rupa, in concorso con il proprio figlio e coindagato Antonio, utilizzato – nella azienda agricola intestata a quest’ultimo ma riconducibile ad entrambi – prodotti non consentiti dal regime biologico al quale l’azienda sottostava, percependo indebitamente contributi pubblici dal 2009 al 2016 (per euro 114 mila circa) e vendendo nel 2016 una partita di olio attestandone falsamente la provenienza da agricoltura biologica ed ottenendo un corrispettivo di oltre 150 mila euro, individuato quale profitto del reato di autoriciclaggio, essendo l’olio proveniente dal delitto di frode in commercio per essere stati utilizzati prodotti non consentiti.

Pur ritenendo, inoltre, sussistenti gravi indizi di colpevolezza del reato di trasferimento fraudolento di valori, relativamente ad un immobile del quale l’indagato aveva intestato al figlio una quota pari al 50%, il Tribunale non riteneva che vi fossero esigenze cautelari.

Quanto al reato di tentata estorsione, il Tribunale – sulla base delle dichiarazioni di due “controllori” – qualificava la condotta dell’indagato come minaccia ed annullava la misura in quanto non consentita dalla legge. Con riguardo, infine, al reato di calunnia il Tribunale (qualificata la condotta in istigazione alla corruzione) riteneva non sussistenti le esigenze cautelari.

La Procura di Paola, di contro, è ricorsa in Cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati di truffa aggravata e autoriciclaggio, nonché alla ritenuta insussistenza delle esigenze cautelari in ordine al reato di trasferimento fraudolento di valori. Si duole, il Pm, della riqualificazione del fatto di tentata estorsione in quella di minaccia e, infine, in relazione alla calunnia, contesta il giudizio di insussistenza di esigenze cautelari. Il Pubblico ministero Pierpaolo Bruni ritiene infatti che il Tribunale abbia travisato le risultanze investigative, ritenendo del tutto apoditticamente che l’indagato avesse la disponibilità di altri terreni gestiti in regime non biologico (convenzionale) ove avrebbe potuto utilizzare i prodotti vietati. Di tali terreni, non vi sarebbe traccia agli atti.

Il Tribunale, inoltre, non avrebbe correttamente valutato le dichiarazioni di un testimone, al quale era personalmente noto l’utilizzo di fitofarmaci e insetticidi nei terreni dell’azienda dei La Rupa, sita in Cleto. Ne consegue che l’indagato avrebbe consapevolmente venduto olio proveniente da agricoltura biologica in realtà non avente tale requisito, percependo un profitto che aveva immesso nella propria azienda (formalmente intestata al figlio Antonio), la quale, nel 2018, aveva ricevuto, dall’organismo di controllo del regime biologico (Codex s.r.l.) l’esclusione dal sistema di certificazione biologica.

Il Procuratore si duole anche della decisione del Tribunale di ritenere insussistenti le esigenze cautelari in ordine al reato di trasferimento fraudolento di valori. Quanto al reato di tentata estorsione, il Pm contesta la qualificazione del fatto operata dal Tribunale in termini di mera minaccia, posto che l’indagato, con le minacce rilevate dallo stesso Tribunale, aveva cercato di impedire agli addetti dell’organismo di controllo del regime biologico di effettuare il controllo ispettivo.

Il ricorso è stato giudicato “fondato” dalla Cassazione: «L’ordinanza – scrivono i Giudici – è affetta da contraddizioni motivazionali su tre punti fondamentali della ricostruzione offerta». Ed ora si ritorna a Catanzaro.

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