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Il tribunale di Cosenza

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COSENZA – Due anni per bancarotta fraudolenta. È la pena inflitta ieri a Piercarlo Chiappetta, già consigliere comunale e provinciale di Cosenza nonché candidato non eletto alle ultime regionali, coinvolto insieme ad altre tre persone in un’inchiesta innescata dal crac milionario di tre società. Chiappetta ha scelto la via del patteggiamento al pari di Antonello Martire, condannato a due anni e tre mesi, e a differenza di quest’ultimo ha beneficiato della sospensione della pena.

Completano l’elenco gli altri due imputati, Attilio De Rango e Fabio Fabiano, rinviati a giudizio davanti ai giudici del collegio il prossimo 11 gennaio, data in cui avrà inizio il processo che gli riguarda.

La vicenda ha origine dal fallimento milionario di tre srl (Pada, Innova e Marconi) amministrate negli ultimi vent’anni da Chiappetta e De Rango. Si tratta di compagini che operavano in ambiti differenti (vendita di calzature, edilizia e settore immobiliare), ma il sospetto degli inquirenti è che a partire dal 2002 i due amministratori le abbiano utilizzate come “banche”, trasferendo capitali da una società all’altra o distraendoli con prelievi ripetuti di denaro.

Tutto ciò le ha portate al fallimento, comportando anche una scia lunghissima di debiti non pagati, in particolare al Fisco. Basta pensare che solo per quanto riguarda la “Pada”, i prelievi effettuati tra il 2009 e il 2010 da Chiappetta e De Rango e ritenuti arbitrari, ammontano quasi due milioni di euro mentre l’eredità dell’azienda in termini di mancato pagamento di imposte e contributi previdenziali tocca quota sei milioni e mezzo di euro.

La vicenda segna il coinvolgimento di Martire che è sospettato di aver contribuito alla distruzione dei libri contabili della ditta. Ancora più consistenti le cifre relative al crac della “Innova srl” contestato solo a De Rango (oltre quindici milioni di euro) e soprattutto della “Marconi” (De Rango e Fabiano) che all’atto del fallimento presentava un passivo di ben trentaquattro milioni e trecentomila euro. Il sospetto, però, è che parte dei soldi distratti dalle società fallite sia confluita in altre compagini tuttora attive, ovvero quelle sottoposte ieri a sequestro.

Sette in totale, anche in questo caso dall’oggetto sociale variegato – cosmetici, consulenze ingegneristiche, ancora immobiliari – e inquadrate in uno schema che sembra seguire un copione analogo a quello del passato dal momento che tutte insieme sarebbero già esposte nei confronti dell’Erario per oltre quattro milioni e mezzo di euro. Rispetto a tale quadro indiziario, lo scorso dicembre la Procura guidata da Mario Spagnuolo aveva presentato richiesta di sequestro preventivo al gip, incassando però un parere negativo. Il giudice delle indagini preliminari, in sintesi, aveva ritenuto insussistente l’ipotesi di un periculum in mora, e cioè che gli indagati potessero occultare altri beni a scapito dei creditori, anche in virtù della lontananza nel tempo dei fatti in contestazione.

Di orientamento ben diverso, invece, si è mostrato qualche mese più tardi il Tribunale formato dal presidente Carmen Ciarcia e dai giudici Urania Granata e Stefania Antico che hanno disposto il sequestro di una costellazione societaria ricondubicile proprio a Chiappetta e De Rango, ravvisando l’esistenza di «una stabile organizzazione tra gli indagati avente a oggetto la strumentalizzazione delle società verso illecite finalità di arricchimento».

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