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Il giudice Marco Petrini

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COSENZA – Le indagini su Marco Petrini, giudice corrotto e reo confesso del tribunale di Catanzaro, hanno ammantato di ombre anche la sentenza d’Appello che, il 4 dicembre del 2019, assolve Francesco Patitucci dall’accusa di essere uno dei mandanti dell’omicidio di Luca Bruni datato 3 gennaio del 2012.

Petrini, che quel giorno presiedeva la giuria, sostiene di aver ricevuto del denaro per dirottare il processo verso l’assoluzione di Patitucci, ribaltando così il verdetto di primo grado che, invece, ne statuiva la condanna a trent’anni di reclusione. Pochi giorni fa, la Corte di cassazione era chiamata a validare o revisionare quel verdetto e tutto lasciava presagire che i condizionamenti e le ombre determinate dalle confessioni di Petrini avrebbero suggerito ai giudici romani di annullare l’assoluzione del boss.

È andata diversamente, il verdetto di non colpevolezza è diventato definitivo poiché la Corte, evidentemente, ha ritenuto che al netto dei sospetti, il ragionamento in chiave assolutoria della Corte d’appello fosse giuridicamente inappuntabile.  

Del resto era stato lo stesso Petrini a riconoscere che c’erano comunque tutti i presupposti giuridici per decretare l’assoluzione di Patitucci. Tutto ruota attorno a Franco Bruzzese, ovvero l’ispiratore principale del delitto, colui il quale all’epoca, fresco di scarcerazione, si accingeva a rivestire il ruolo di capo della cosca dei nomadi al quale, però, aspirava anche Luca Bruni. Una volta diventato collaboratore di giustizia, lo stesso Bruzzese ha ammesso le sue responsabilità del caso, spiegando di aver concordato il delitto insieme al clan Lanzino di cui fa parte Patitucci.

Il pentito riferisce di una serie di riunioni operate prima dell’agguato e alle quali avrebbero preso parte anche gli italiani, prima del summit definitivo avvenuto al cospetto dell’allora latitante Ettore Lanzino. Stando alla sua versione dei fatti, l’eliminazione di Bruni e della famiglia dei Bella Bella da lui rappresentata, sarebbe valsa anche da atto fondativo di una nuova alleanza tra i due gruppi criminali. «Ogni qual volta Bruzzese viene chiamato a deporre – rilevano, però, i giudici – emergono circostanze nuove, mai riferite prima o diverse da quanto dichiarato in precedenza».

Secondo Petrini e Cosentino, il pentito «aggiusta la sua versione in modo progressivo» senza motivare in modo efficace le ragioni per cui anche il clan Lanzino fosse interessato a sbarazzarsi di Bruni. Bruzzese punta ad allargare il cerchio delle responsabilità, ma lo fa «in modo confuso e contraddittorio» e ad alimentare l’incertezza di fondo ci pensa anche il narrato degli esecutori materiali del delitto, ovvero Adolfo Foggetti e Daniele Lamanna, anche loro pentiti. Nel tempo, i due hanno rilasciato dichiarazioni oscillanti sull’argomento, adombrando un coinvolgimento diretto degli “italiani” in quello che, comunque, era «un affare interno al loro gruppo».

Durante il processo d’Appello, inoltre, Bruzzese è stato convocato in aula per ben due volte, e in un’occasione ha convenuto che la decisione di farla finita con Luca Bruni fosse già presa a prescindere da quello che poteva essere l’orientamento sul tema di Patitucci & co. A ciò si aggiungono le numerose imprecisioni riscontrate sulle date, su parole che diventano solo gesti, su presenze ai summit date per certe e poi smentite nei racconti successivi. Insomma, di tutto e di più, tant’è che per i giudici non v’è alcuna prova di una partecipazione diretta di Patitucci alla fase decisionale del delitto. Al più, si può ipotizzare che abbia espresso solo «la sua opinione» non vincolante.

r. c.

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