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Palazzo dei Bruzi, sede del Comune di Cosenza

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COSENZA – Uno spezzatino indigesto, ma solo per la Procura. Andato a male sotto i colpi delle prescrizioni e delle valutazioni finali – quelle dei giudici – rivelatesi ben diverse da quelle degli inquirenti. Non c’era alcun reato, infatti, dietro ai lavori pubblici del Municipio che si riteneva fossero stati assegnati sempre alle stesse ditte senza rotazione e frammentando gli appalti. Nessun reato, tant’è che la motivazione dell’assoluzione collettiva decretata ieri a favore dei dodici imputati parla chiaro, anzi chiarissimo: «Il fatto non sussiste».

A nulla sono valse, dunque, le richieste di condanna avanzate ieri in aula dal pm, in alcuni casi pene monstre come quella invocata nei confronti dell’ex dirigente comunale Carlo Pecoraro (otto anni) e Rino Bartucci (quattro anni); il primo gravato da diverse ipotesi di abuso d’ufficio, entrambi da un episodio di induzione illecita a dare o promettere utilità.

Difesi rispettivamente dagli avvocati Franco Locco e Marco Facciolla, guidano la pattuglia di persone scagionate da ogni accusa di cui fanno parte anche il funzionario di Palazzo dei Bruzi, Michele Fernandez e diversi imprenditori ritenuti beneficiari, tra il 2011 e il 2015, degli appalti incriminati: Francesco Amendola, Antonio Amato, Francesco Rubino, Francesca Filice, Giuseppe Sasso, Pasquale Perri, Francesco Rubino e Antonio Scarpelli.

Per alcuni di loro era stata la stessa Procura a chiedere l’assoluzione, per altri invece la condanna auspicata era fra uno e due anni di reclusione. Nulla di tutto ciò, invece, il che equivale anche a un de profundis per un teorema d’accusa al quale, in origine, era stato assegnato anche il nome evocativo di “Sistema Cosenza”.  Nel mirino c’erano, infatti, i cottimi fiduciari dei quali, si sospettava, si fosse fatto largo abuso nelle stanze dei bottoni di Palazzo dei Bruzi. La procedura incriminata è l’assegnazione diretta degli incarichi che, di volta in volta, sarebbero stati spacchettati ad arte in modo da non superare mai la soglia dei quarantamila euro, cifra oltre la quale il Codice degli appalti impone agli enti locali gare a evidenza pubblica o l’invito ad almeno cinque ditte prima di procedere all’assegnazione.

L’ipotesi della Procura, però, era che a Cosenza, nel periodo indicato, spesso e volentieri tutto ciò non fosse avvenuto. Secondo gli inquirenti, infatti, agli appalti veniva attribuita l’etichetta di somma urgenza – laddove invece urgenti non lo erano affatto – oppure si concordava con le ditte un ribasso d’asta che consentiva di sfiorare quota quarantamila, ma senza oltrepassarla, salvo poi inserire varianti e lavori aggiuntivi che riportavano la cifra sopra la soglia consentita, vanificando così ogni eventuale risparmio per il Comune.

Numerosi, in tal senso, gli episodi sospetti inventariati dagli investigatori, gran parte dei quali contestati a Pecoraro: da quelli effettuati nel cimitero agli abbattimenti sulle barriere architettoniche in città, passando per gli interventi sulle reti idriche e fognarie. Molti di questi appalti, però, erano stati già ritenuti privi di gravità indiziaria dal tribunale del Riesame e, non a caso, all’annullamento delle misure cautelare aveva fatto seguito anche la decimazione dei capi d’imputazione.

Alla fine, dunque, il cuore pulsante dell’inchiesta era rappresentato dalle spese sostenute in quegli anni per le luminarie cittadine: quelle per le manifestazioni del Lungofiume nel 2013, per la festa della Madonna del Pilerio e l’anno successivo e poi fiera di San Giuseppe e centenario del Cosenza calcio a completare un elenco che, oltre al dirigente, segnava anche il coinvolgimento di Scarpelli e della sua Medlabor, la ditta che aveva eseguito tutte le installazioni contestate. E invece nessun reato, come del resto avevano sostenuto a turno tutti gli avvocati difensori, componenti di un collegio che oltre a Locco e Facciolla contemplava, fra gli altri, Nicola Rendace, Franz Caruso, Marcello Manna, Giuseppe Manna, Gianluca Garritano, Ruggiero Pio Miceli, Vincenzo Adamo, Antonio Sorrentino, Attilio Santagio e Roberto Romei.

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