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Denis Bergamini

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Francesco Barbuscio e Isabella Internò, il brigadiere e la ragazza. Sono loro i due principali interpreti del mistero di Roseto, anche più di Pisano che fino al 2015 è indagato solo per favoreggiamento e false dichiarazioni al pm.

Troppe evidenze emerse dalle indagini, infatti, suggeriscono alla Procura di relegare il camionista al ruolo di partecipe inconsapevole dell’omicidio. Già il fatto che abbia frenato lo scagiona da qualunque ipotesi di investimento volontario; a ciò si aggiungono i testimoni che documentano in presa diretta lo stato di shock in cui versava. Isabella no, lei è accusata di omicidio volontario, con Barbuscio che, nell’ipotetica “Rivelazione” del mistero, è il carabiniere impegnato a occultare le prove dell’omicidio.

Perché avrebbe dovuto farlo, nessuno si è mai azzardato a suggerirlo, se non facendo accenno a fantomatiche coperture istituzionali di cui avrebbero goduto gli assassini; fatto sta che già nel 2000, il brigadiere è personaggio centrale del “Calciatore suicidato”, il libro di Petrini che, per primo, avanza dei dubbi sul reale andamento delle cose. In tal senso, i rilievi errati di Barbuscio – dal trascinamento che non c’è alla Maserati con il dono dell’ubiquità, passando per altre sviste e imprecisioni – sono rivisitati nell’ottica della volontarietà e del depistaggio. Il carabiniere, dunque, diventa complice della pretesa messinscena volta a presentare come un suicidio ciò che in realtà è un omicidio; una tesi che qualche anno più tardi diventa leit motiv del dossier Gallerani.

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Perché se di delitto si tratta, allora, deve esserci un fil rouge che lega Isabella, il camionista e il brigadiere. In tal senso, anche il posto di blocco del 18 novembre sarebbe stato funzionale alla congiura in corso, così come i successivi rilievi – «Sistemati ad hoc» – sulla scena del finto suicidio. Va da sé che anni e anni di indagini non sono riuscite a dimostrare il benché minimo punto di contatto fra una studentessa cosentina di Ragioneria, un autotrasportatore di Rosarno di trent’anni più anziano e il comandante della Stazione carabinieri di Roseto, all’epoca quarantenne.

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Ma chi era davvero Francesco Barbuscio? Classe 1950, presta servizio ad Amendolara e poi a Roseto fino al 1988. Nel triennio successivo si trasferisce nella vicina Trebisacce dove si spegne nel 1993 a soli 43 anni a causa di un male incurabile. «Con noi aveva rapporti formali– ricorda il suo collega De Palo – Si comportava in modo militaresco. Dava ordini e basta. Anche tra la popolazione era molto temuto». Mario Infantino, proprietario del bar in cui Isabella si reca dopo il dramma, ricorda ancora i guai che gli fa passare per un abuso edilizio. «Era un vero comandante – aggiunge De Palo – Una persona integerrima, di lui mi fidavo».

A Roseto e Trebisacce, un po’ tutti lo ricordano come un dritto, un incorruttibile, uno che «non guardava in faccia nessuno». Un profilo lontano da quello di un potenziale cospiratore, insomma. «Eravamo buoni amici – rammenta un commerciante nel posto – ma ciò non gli ha impedito di farmi la multa il giorno in cui, entrando nel negozio, mi ha trovato senza camice bianco». Sbaglia i rilievi, è vero, ma rimedia al suo errore già nell’immediatezza; ciò malgrado, non sfugge al tritacarne mediatico che continua a inseguirlo anche da morto. «Non ha mai accettato un caffè da nessuno; manteneva un distacco olimpico da tutti».

Suo figlio Carmine, oggi quarantenne, è custode di un aneddoto che, meglio di ogni altro, immortala il carattere del genitore. «Un giorno era libero dal servizio, in macchina con tutta la famiglia, quando ha visto un ragazzo rubare una Vespa. Si è lanciato all’inseguimento con moglie e figli al seguito e ha arrestato il ladro. Poi sono arrivati i proprietari e ha comunicato loro che il motorino era sotto sequestro perché sprovvisto di assicurazione. Questo era mio padre».

Quel pomeriggio di novembre è lì, a controllare le auto in transito sulla Ss 106 perché poco distante, a Villapiana, si è consumata una rapina. Dagli atti dell’epoca risulta che due banditi hanno assaltato un camion e dopo aver picchiato il conducente – un certo Maio – gli hanno rubato il portafogli con dentro settecentomila lire. Barbuscio cerca un’auto con due rapinatori, ma s’imbatte nella Maserati con a bordo una coppia di giovani, una brunetta e un ragazzo biondo. Li fa passare quasi subito perché capisce che loro non c’entrano. Il suo nome era Francesco Barbuscio, brigadiere dei carabinieri. Un giorno si parlerà anche della sua riabilitazione.

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