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Il governatore Mario Oliverio

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COSENZA – Operazione contro la corruzione a Cosenza dove i finanzieri del Comando provinciale hanno condotto, nelle province di Cosenza, Catanzaro e Roma, un’operazione in materia di appalti pubblici con l’esecuzione di misure cautelari personali nei confronti di 16 soggetti tra cui il presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, dirigenti della Regione Calabria e dipendenti pubblici nonché un imprenditore legato alla cosca “Muto”.

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COINVOLTE E I PROVVEDIMENTI ASSUNTI

Agli indagati nell’operazione, denominata Lande Desolate, vengono contestati a vario titolo i reati di falso in atto pubblico, corruzione e frode in pubbliche forniture.

IL PRESIDENTE OLIVERIO ANNUNCIA LO SCIOPERO DELLA FAME

Il giudice per le indagini preliminari distrettuale di Catanzaro, Pietro Caré, ha emesso un provvedimento di obbligo di dimora nel comune di residenza, San Giovanni in Fiore, per il presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio che sarebbe accusato di abuso d’ufficio.

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A coordinare l’operazione è stata la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro diretta dal procuratore della Repubblica, Nicola Gratteri, con i sostituti procuratori Alessandro Prontera e Camillo Falvo, coordinati dai procuratori aggiunti Vincenzo Luberto e Vincenzo Capomolla.

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Le attività investigative hanno fatto uso di articolate indagini tecniche e di rilevamenti aerofotografici consentendo in questo modo «di ricostruire e riscontrare – si legge in una nota stampa – plurime violazioni e irregolarità nella gestione e conduzione degli appalti per l’ammodernamento dell’aviosuperficie di Scalea e degli Impianti sciistici di Lorica, nonché nella successiva fase di erogazione di finanziamenti pubblici».

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Andando nel dettaglio, in particolare, sarebbe emerso «il completo asservimento di pubblici ufficiali, anche titolari di importanti e strategici uffici presso la Regione Calabria, alle esigenze del privato imprenditore attraverso una consapevole e reiterata falsificazione dei vari stati di avanzamento lavori ovvero l’attestazione nei documenti ufficiali di lavori non eseguiti al fine di far ottenere all’imprenditore l’erogazione di ulteriori finanziamenti comunitari altrimenti non spettanti».

Sotto questo profilo per gli inquirenti è «emblematica la spregiudicatezza che caratterizzava l’agire dell’imprenditore romano spinta al punto di porre in essere condotte corruttive nei confronti di pubblici funzionari, finalizzate al compimento di atti contrari ai doveri d’ufficio consistenti in una compiacente attività di controllo sui lavori in corso, nell’agevolare il pagamento di somme non spettanti ovvero nel riconoscimento di opere complementari prive dei requisti previsti dal codice degli appalti oltre al mancato utilizzo di capitali propri dell’impresa appaltatrice in totale spregio degli obblighi previsti dai bandi di gara».

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In conclusione, sarebbe stato provato come «l’imprenditore romano, nei confronti del quale è stata, altresì, addebitata l’aggravante della “agevolazione mafiosa” di cui all’art. 7, abbia impegnato poche decine di migliaia di euro a fronte di diversi milioni di euro previsti dai bandi di gara, circostanza ampiamente conosciuta ed avallata dai soggetti preposti al controllo ed alla erogazione delle somme, nonche’ dalle figure politiche coinvolte. le indagini hanno fatto luce su un diffuso sistema illecito che, attraverso la reiterata commissione di falsi, abusi e atti corruttivi, ha compromesso il corretto impiego delle risorse pubbliche non consentendo lo sviluppo e la crescita del territorio, l’elevazione del livello dei servizi resi al cittadino e costituendo, di fatto, un ostacolo alla realizzazione del potenziale di crescita che il territorio è in grado di esprimere».

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