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Demetrio Stancati, medico e presidente del Consorzio Dop Calabria

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DI vino si può anche morire. Lo dimostra la tragedia avvenuta a Paola dove hanno perso la vita quattro persone e una quinta è stata ricoverata in ospedale (LEGGI).

Il mosto in un locale privo della necessaria aerazione, avrebbe prodotto una notevole quantità di anidride carbonica e determinato prima lo stordimento e poi la morte di chi si trovava in prossimità della grande vasca contenente l’uva in fermentazione.

“Queste persone – spiega Demetrio Stancati, medico, presidente del Consorzio Dop Calabria e produttore di vini – sicuramente facevano il vino in maniera molto artigianale dimenticando qualche regola fondamentale. Una volta, nella cantina dove c’era il mosto in fermentazione, si lasciava sempre una candela accesa perché se la fiamma continuava ad ardere, significava che in quel locale c’era ancora ossigeno. Se, diversamente, la candela si spegneva, indicava chiaramente al piccolo produttore che nell’aria c’era una forte componente di CO2″.

“Evidentemente – continua Stancati – la cantina dove è avvenuta la tragedia era un locale chiuso, privo di finestre, ed è palese che all’interno ci fosse un livello di anidride carbonica abbastanza alto. Noi che produciamo un grosso quantitativo di vino, durante il periodo della fermentazione del mosto, lasciamo sempre le finestre aperte. La produzione artigianale del vino in Calabria è una pratica molto diffusa ma mi viene da pensare che oggi, rispetto a molti anni fa, le cose si facciano in maniera avventata, senza le necessarie e minime precauzioni”.

Oltre all’anidride carbonica, durante le fasi della fermentazione “si produce anche l’anidride solforosa perché per proteggere il vino vengono usati dei solfiti che altro non sono che molecole composte da ossigeno e zolfo. È evidente che in un locale chiuso con l’uva in fermentazione, sicuramente rossa considerato il periodo, siano state presenti varie sostanze che hanno potuto determinare, come nel caso di Paola, delle reazioni avverse”.

“La provincia di Cosenza negli ultimi cento, duecento anni – prosegue l’esperto – si è sempre caratterizzata per la produzione artigianale del vino. Ognuno aveva la sua piccola vigna e produceva il vino perché non dimentichiamo che oltre ad essere una bevanda gustosa, il vino è un vero e proprio alimento. Il contadino che zappava la terra e iniziava il lavoro all’alba, per trovare le energie necessarie che gli servivano, mangiava qualcosa e beveva del vino, e quale migliore aiuto era un bicchiere di vino che erano zuccheri ed energia pronta per vincere la fatica”.

“Anche i vigneti di allora venivano pensati in un’ottica diversa da quella attuale. Spesso erano composti da vitigni multipli perché così si evitava l’attacco delle malattie più comuni e la preziosa produzione del vino che serviva per poter lavorare, era assicurata. In una realtà contadina come la nostra – conclude Stancati – il vino ha sempre rappresentato una fonte di energia preziosa e insostituibile anche se questo tragico fatto di cronaca ci mostra quanto la disattenzione e la superficialità possano essere fatali”.

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