X
<
>

Condividi:
6 minuti per la lettura

COSENZA – Bionda, bella, americana e appassionata della Calabria. Ma da esperta. Cherrye Moore non ha un goccio di sangue calabrese nelle vene, ma conosce tutti i vizi e le virtù del turismo made in Calabria. E’ una tour operator che da circa dieci anni dalla sua sede di lavoro, in Texas, si occupa di organizzare vacanze per gli americani che vogliono visitare la Calabria. 

Lo spot che funziona meglio di tutti? Nessuna bellezza da copertina, né i famigerati Bronzi di Riace. A far venire voglia di visitare la piccola regione del sud dell’Italia, a scapito di mete tradizionali come la Toscana, Venezia o Roma, sono soprattutto i nonni. I loro racconti da emigrati hanno scavato, negli anni, solchi profondi nell’immaginario degli italo americani di seconda e terza generazione, tanto da rendere addirittura struggente il desiderio di sovrapporre l’immagine di quei racconti con quella dei veri paesini. 

Un appeal non da poco, se si pensa che più la meta è “rustica”, più viene apprezzata. A pochi mesi dall’inizio della stagione turistica estiva, abbiamo cercato di capire con lei luci e ombre della ricettività della regione.

Mrs Moore, da quanto tempo si occupa di viaggi in Calabria? 

«Sono ormai quasi dieci anni. Mi occupo di pianificare gli itinerari, prenotare gli hotel, i voli, i mezzi di trasporto e metto i turisti americani in contatto con guide locali. Sono anche una scrittrice specializzata in viaggi in Calabria e Sud Italia e lavoro anche per la DK e le guide Michelin». 

Come è nata la sua passione per la Calabria? 

«Ero nello staff di Disneyland Paris quando conobbi un ragazzo calabrese che mi affascinò molto. Oggi è mio marito e viviamo a Houston. Lui mi ha insegnato a conoscere e amare prima Catanzaro, poi tutta la Calabria».

Quanti visitatori scelgono la Calabria e da quali Paesi vengono? 

«A parte gli Usa, il numero di turisti britannici negli ultimi anni è quadruplicato, ma vi sono anche molte richieste da Germania, Australia e Canada. La maggior parte dei visitatori non europei vengono in Calabria perché vogliono ritrovare le loro radici».

Quali sono le loro località preferite? 

«In qualunque posto essi riescano a trovare il gusto genuino di vivere questa regione, ma in particolare amano Pizzo, Morano Calabro, Civita e Le Castella».

Cosa trovano di bello e cosa non apprezzano? 

«Gli americani hanno un’idea molto romantica della Calabria e perciò apprezzano incontrare la gente orgogliosa delle proprie tradizioni e che ama raccontare la sua esperienza di vita. Ciò che odiano è trovare le spiagge e le strade sporche e piene di rifiuti e i bei palazzi storici deturpati da graffiti e manifesti».

Cosa pensano della professionalità di alberghi e ristoratori? 

«Non ho avuto grosse lamentele. Qualche volta è capitato che nei negozi qualcuno alzasse il prezzo quando ci sentiva parlare in inglese. E’ capitato anche a me. Ma ho pagato senza discutere e poi non sono tornata più in quel posto. E naturalmente non ci farò andare i miei clienti».

Come pensa si possa migliorare l’offerta turistica calabrese?

«Innanzitutto i trasporti. A partire da quelli pubblici, poco affidabili. Ma anche i collegamenti aerei sono pochi. In genere bisogna prendere tre voli per arrivare a Lamezia. Serve anche una maggiore rete informativa tra le cinque province, dato che sembra che ognuna si limiti a promuovere le proprie peculiarità e non sa offrire nessun tipo di notizia riguardo alle altre. Inoltre bisogna che gli albergatori siano mentalmente più flessibili. Quando prenoto un albergo o un agriturismo spingono sempre per piazzare la “pensione completa”. Devono capire che questi pacchetti vanno bene per ospiti locali, ma gli stranieri non fanno un viaggio di 6.000 miglia per mangiare colazione, pranzo e cena nello stesso posto, tutti i giorni. Molti albergatori si irrigidiscono quando chiediamo solo pernottamento e prima colazione, ma devono capire i gusti dei viaggiatori e adeguarsi».

Cosa comprano i turisti come souvenir?  

«Piacciono molto i prodotti locali, come la ceramica di Squillace o i gioielli di San Giovanni in Fiore, ha successo anche la gastronomia: la ‘nduja, le cipolle di Tropea, le spezie e i peperoncini. Comprano molto anche le guide illustrate o quelle con foto folkloristiche».

Mi racconti un episodio per cui i turisti hanno deciso di non venire più in Calabria?

«Un episodio non mi viene in mente. L’unica frase che ho sentito spesso, quando tornano, è “Non c’è niente in particolare da fare o vedere in Calabria”, ma forse sono quelle persone che non partono con lo spirito giusto».

E un esempio positivo? 

«Ero in visita con un gruppo di viaggiatori e la prima sera una signora della Florida mi disse: “Sono stata in Italia ben cinque volte, ma questa è la prima volta che ho visto la vera Italia”. Questo è molto significativo perché vuol dire che la gente non viene in Calabria per sentire parlare inglese o per mangiare in ristoranti esotici. Non vogliono sentirsi come un numero all’interno di un bus di turisti. E’ bene che ci siano miglioramenti, ma è altrettanto importante che la Calabria mantenga il fascino e l’autenticità che la gente ama».

Sul suo blog ho letto che ha partorito nell’Ospedale di Catanzaro. E’ stata una scelta?

«Oddio, che esperienza! Ho incontrato un dottore meraviglioso che si è preso cura di me e del bambino, ma certo non ho avuto i comfort ai quali un’americana è abituata. Comunque non mi lamento. E’ stato del tutto inaspettato perché mio figlio è nato sei settimane prima del termine, ecco perché ero ancora a Catanzaro. Appena nato è stato portato al reparto neonatale. Però ho avuto molta difficoltà a interagire con lo staff ospedaliero. Ci hanno indicato un orario in cui io e mio marito potevamo vedere il bimbo, ma quando arrivavamo, trovavano scuse per non farcelo vedere, o ci facevano aspettare per ore, per poi farci stare dentro solo per 10 minuti. Hanno preferito nutrirlo con latte artificiale invece che con l’allattamento al seno e se chiedevo di allattarlo io, ci dicevano che aveva appena mangiato. Ho sentito un dottore sgridare una mamma straniera che voleva allattare suo figlio. Le disse: “Se pensi di saper fare il mio lavoro meglio di me, accomodati pure”. La donna era quasi in lacrime, è stato orribile».

Esperienze negative e positive si intrecciano, sullo sfondo di una Calabria complessa e bellissima. Che piace anche con le sue contraddizioni.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE