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COSENZA – Sono trascorsi settant’anni dalla liberazione dell’Italia dall’occupazione nazionalista e, soprattutto, dalla liberazione dei campi di internamento fascista. Ma ancora molti equivoci rimangono, nonostante il lavoro storiografico di studiosi e istituzioni dedicate al tema: resiste il mito buonista degli «italiani brava gente». A questa strategia della menzogna, prima, e della rimozione, poi, non è sfuggito neanche il campo di internamento di Ferramonti di Tarsia: dipinto quasi come un luogo di villeggiatura (è vero che il suo direttore fu accusato dai fascisti più intransigenti di atteggiamenti troppo benevoli nei confronti degli internati) durante la sua attività, dal giugno del ’40 al settembre del ’43; abbandonato al degrado e all’occupazione da parte dei contadini della zona dopo la guerra; mutilato dalla costruzione dell’autostrada Salerno-Reggio negli anni Settanta; ristrutturato di recente in stile simil-agriturismo per farne un museo con una visione da tour operator della memoria. Eppure, nonostante queste vicissitudini, oggi a Ferramonti viene riconosciuto un ruolo “cardinale” nel nuovo filone di studi sull’antisemitismo in cui – appunto – l’interrogarsi sul mito del bravo italiano assume un aspetto centrale. 

Lo storico Robert C. Gordon, di cui Bollati Boringhieri ha appena pubblicato “Scolpitelo nei cuori” (traduzione di “The Holocaust in Italian Culture”) cita a più riprese il lavoro pionieristico di Carlo Spartaco Capogreco che da Ferramonti è partito e che al campo di internamento calabrese ha dedicato un pezzo importante della sua vita di studioso e attivista, con un primo saggio (“Ferramonti, del 1987, al quale lo studioso inglese fa riferimento) e un’omonima Fondazione, nel 1988, che è riuscita ad arrestare il vilipendio di quel luogo della memoria ottenendo il decreto di vincolo dal ministero dei beni culturali quale “luogo di interesse storico-culturale” per l’area. Nel corso dei suoi venticinque anni di attività la Fondazione Ferramonti, con la comparsa sulla scena di un’altra Fondazione dal nome troppo simile (a meno di un “Museo” in più), gli studiosi riuniti intorno a Capogreco (come Teresa Grande e Paolo Jedlowski) hanno preferito evitare di disperdere energie su un inutile conflitto sulla gestione del luogo fisico (che oggi è in mano all’ex sindaco di Tarsia, Francesco Panebianco) e dedicarsi esclusivamente alla ricerca storica e alla riflessione sociologica sulla memoria e tenere sul complesso argomento dell’antisemitismo italiano una visione aperta e critica anche con la storiografia dominante. Ed è con questa visione che domani, al centro ebraico “Il Pitigliani” (Via Arco de’ Tolomei 1), si svolgerà il convegno storico internazionale “For Ferramonti: Memoria 70 x 25” (70 anni dalla liberazione del campo; 25 di attività della Fondazione). Dopo i saluti di Riccardo Pacifici (presidente Comunità Ebraica di Roma), Francesco Altimari (prorettore Università della Calabria), Maria Francesca Corigliano (Assessore alla Cultura della Provincia di Cosenza), Liliana Picciotto (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), Enrico Modigliani (“Progetto Memoria” del Cdec), Leone Paserman (presidente Fondazione Museo della Shoah), Mario Avagliano (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), il convegno presentato e coordinato da Anna Longo (vice caporedattore Cultura Giornale Radio Rai), entrerà nel vivo con l’introduzione di Mario Toscano (Università di Roma “La Sapienza”) e due focus: uno sui settant’anni di Ferramonti, l’altro sui venticinque anni della Fondazione. Al primo parteciperanno Liliana Picciotto (responsabile di ricerca della Fondazione Cdec) con un intervento dal titolo “Un libro, una storia, un luogo”; Anna Pizzuti (ricercatrice storica, Frosinone) con “Ebrei stranieri a Ferramonti (1940-1943): tracce per la ricerca”; Mario Rende (Università di Perugia) su “Tre figure emblematiche del campo di Ferramonti: Gaetano Marrari, Paolo Salvatore e Padre Callisto Lopinot”; Luciana Marinangeli (scrittrice, di Roma) con “L’epistolario di un internato speciale. Ernst Bernhard a Ferramonti”. Al secondo ci saranno Klaus Voigt (della Technische Universität di Berlino) su “L’attività della Fondazione Ferramonti vista da uno storico tedesco”; Alberto Cavaglion (Università di Firenze) con un intervento dal titolo “Alla ricerca di Ferramonti”; Luigi Maria Lombardi Satriani (Università Suor Orsola Benincasa, Napoli) su “I compleanni, la memoria e la speranza”; Marta Bosticco (Università di Torino) con “La Fondazione Ferramonti come laboratorio per la riscoperta dei “campi del duce”; Teresa Grande (Università della Calabria) su “I luoghi di memoria nel lavoro della Fondazione Ferramonti, tra pratiche ed elaborazioni”; Costantino Di Sante (Istituto di Storia contemporanea della Provincia di Pesaro) con “L’impulso dato dalla Fondazione Ferramonti alle ricerche sui campi fascisti”; James Walston (dell’American University di Roma) con “La Fondazione Ferramonti e le politiche della memoria in Italia”. 
Oltre a una serie di “link” nella rete di studi e studiosi degli altri campi di internamento fascisti in Italia, le testimonianze di Elvira Frankel (Roma), Giorgio Lazar (Roma), Maria Cristina Marrari (Reggio Calabria), Jakub Klein (Roma), Piero Terracina (Roma), Riccardo Schwamenthal (Bergamo) e la partecipazione della compositrice e scrittrice Miriam Meghnagi. Forse nel sottotitolo del convegno sarebbe stato più corretto scrivere “Memoria 70 – 25”: settant’anni di storia rimossa, rimodulata e rinegoziata; meno 25 anni di resistenza all’oblio o alla memoria a pacchetto tutto-compreso.
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