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LA voce calda e profonda, con il dosato accento umbro, ereditato dalla cittadina medievale di Civitella del Lago dove Gianfranco Vissani è nato 62 anni fa, è accompagnata dal rumore tipico di stoviglie in movimento. E’ mezzogiorno e a Casa Vissani, a Terni, nel ristorante dello chef premiato ancora una volta con le tre forchette del Gambero Rosso, tutto è in evoluzione. Ogni giorno si racconta una storia diversi di aromi e gusti. Partendo da una filosofia di fondo: ogni prodotto ha la sua storia, ogni uomo ha la sua interpretazione. E a proposito dell’eccellenza dei prodotti proprio Vissani, aveva parlato dell’importanza di valorizzare prodotti poco conosciuti tipici delle regioni italiane quali il pecorino calabrese. 

Chef, quali sono le caratteristiche che apprezza nel pecorino calabrese? 
«Il pecorino calabrese è un prodotto ottimo e lo usiamo molto nei nostri menu. Ma non è l’unico ingrediente calabrese che apprezzo e utilizzo abitualmente nelle mie cucine. In Calabria si lavora benissimo il maiale e poi ci sono le patate della Sila, o ancora il bergamotto, che molti pensano sia solo siciliano, mentre in Calabria ci sono coltivazioni ottime. Posso poi indicare la spatola, un pesce da molti neanche considerato come elemento buono per i loro menu, ma che è invece buonissimo». 
Tanta qualità, ma davvero poco arriva sulle tavole dei grandi ristoranti italiani ed esteri. Come mai? 
«Quello che manca ai produttori locali, a volte, è che non sono nelle condizioni di poter esportare in Germania, o all’estero i loro prodotti. Oltre alla forza economica, però manca anche il giusto design. Perché una buona promozione e presentazione del proprio marchio è essenziale per poter essere appetibile. Ma nonostante questo, la Calabria resta una grande terra, una terra sofferta ma una grande terra. Terra di grandi professionisti, anche. Pensi che il mio secondo chef è di Cosenza! Si chiama Mario Alò, ha 40 anni e lavora con me da 20». 
Un cuoco cosentino avrà portato con sé anche il gusto delle ricette nostrane e dei nostri ingredienti. Quali sono quelli che utilizzate in particolare? 
«Preferisco tutto, anche la liquirizia calabrese, che è molto più scura rispetto a quella tradizionale. E noi ci facciamo dal pesce alla carne, tutto. Usiamo molto quella calabrese, in particolare la Amarelli di Rossano». 
Ci sono prodotti invece “sopravvalutati” che magari godono di popolarità, ma che non hanno i crismi dell’eccellenza? 
«No, anche quelli più celebrati, come la cipolla rossa di Tropea sono eccellenti. Specie per la sua caratteristica dolcezza. Certo bisogna distinguere tra quella originale, che cresce a settembre, e altre qualità che si possono trovare tutto l’anno. E diffidare dalle imitazioni. E’ ottimo anche il cipollotto di Tropea». 
Ha una ricetta veloce da dare in esclusiva ai nostri lettori? 
«Certo, una bella insalatina di cipolla di Tropea». 
Oltre agli ingredienti, ama frequentare la nostra regione per incursioni culinarie? 
«Vengo spesso, mi piace frequentare la Calabria e tornerò presto per apprezzare ancora di più la zona tra Scilla e Cariddi. C’è una postazione lassù che è straordinaria. E poi di lì sono passati Ulisse, Garibaldi e tanti altri personaggi storici. La Calabria è stata sempre molto apprezzata in materia culinaria, anche in tempi antichissimi. Pensi che tutti quelli che passavano per la Magna Grecia si portavano via dalla Calabria i cuochi migliori a colpi d’arma». 
E dunque anche il “nostro” chef Mario Alò lo ha portato via con sé così? 
«No (ride, ndr). Alò era una promessa della giurisprudenza, ma ad un certo punto ha lasciato gli studi ed è venuto da me. Da allora non è andato più via».
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