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LA beffa e l’oltraggio dell’oblio. Una storia che si ripete. Naturali corsi e ricorsi o il velo dell’indifferenza che copre la testimonianza di una civiltà millenaria? O peggio quella banalità dell’ignoranza e dell’ignavia che è mille volte più dannosa  dell’inesorabilità del tempo che passa? Per Sibari tutto questo. 
Ecco perché, a un anno dallo straripamento del fiume Crati e dalla coltre di fango che ha ricoperto come un manto l’importante area archeologica, si è imposta con forza una riflessione. Una scossa alla società civile e una provocazione alle istituzioni attraverso la semplice idea di un sms e di un evento collettivo.
«Trovo che l’iniziativa  lanciata dal direttore del Quotidiano Matteo Cosenza sia intelligente e opportuna».  La voce autorevole di Salvatore Settis, studioso di fama internazionale, archeologo e storico dell’arte, risuona all’altro capo del telefono con la partecipazione  emotiva che gli deriva anche dal suo essere calabrese.  «L’idea è importante perché si rifà a due aspetti. Il primo è quello del crowd funding, cioè che si cerchino i fondi dalla folla e che i cittadini si possano tassare anche per una cifra molto piccola è significativo e non solo simbolicamente. E questo è  il carattere  provocatorio. Il secondo aspetto è che quanto più i calabresi, ma non solo i calabresi, risponderanno tanto più sarà evidente l’inadeguatezza delle istituzioni. Perché mentre abbiamo una Costituzione che con l’articolo 9 stabilisce la tutela dei beni culturali, c’è invece uno dei luoghi più importanti  della Magna Grecia che sembra non aver diritto alle cure adeguate. Il fatto di richiedere ai cittadini una contribuzione comunque non vuol dire che lo Stato deve abdicare alla sua funzione, ma che non sta facendo quello che dovrebbe».
-Lei ha scritto tanto anche su Sibari e insiste molto  sul concetto di bene comune  come cultura della prevenzione e su quello di “conservazione programmata”  che Giovanni Urbani, direttore dell’Istituto centrale per il Restauro teorizzò anni fa. Perché è così difficile in Italia e in Calabria un’operazione di questo tipo?
«E’ difficile, è vero, sia in Italia che in Calabria e per questo Urbani se n’è andato con anticipo sbattendo la porta. E’ andato via per protestare contro l’incapacità di capire l’importanza del tema della conservazione programmata. Si tratta di una proposta degli anni ’70-’80. La conservazione programmata e la cura dell’ambiente sono due aspetti dell’identica cosa. Se c’è un ambiente che richiede particolare cura proprio per la sua conformazione quello è l’Italia. E il caso Sibari è ancora più emblematico perché si tratta di una stratificazione culturale. Eppure negli ultimi anni le spese per l’ambiente sono state tagliate. Ma i danni sono iniziati anche prima, quando il ministero dei Beni culturali è stato separato da quello dell’Ambiente. Fu un errore. Oggi abbiamo due ministeri a metà e nessuno dei due funziona bene. Un esperimento fallito». 
-Beni culturali e ambiente sono fondamento della cultura identitaria di un popolo. Purtroppo in Calabria si è perso o forse non si è mai avuto  un senso autentico di identità. C’è una sorta di assuefazione alle brutture, alla violazione del paesaggio.
«E’ ancora peggio. Nel Sud c’è un totale disamore  verso la propria terra. E’ come se un cittadino assistesse a un delitto e non chiamasse neppure i carabinieri. A questa indifferenza colpevole si aggiunge una dialettica patriottarda  insopportabile del tipo “ma questi del Nord non sanno che noi avevamo Pitagora, abbiamo i Bronzi”. Ma che vuol dire? Pitagora, i Bronzi di Riace,  non sono dei meriti, sono dei regali immeritati. La retorica patriottarda è una malattia terribile  della cultura meridionale e di quella calabrese in particolare. Ed è negativa».
-Alla luce di tutto questo possiamo parlare di maledizione di Sibari o di messaggio di verità di Sibari?
«Innanzitutto si tratta di una condizione naturale. Ma tutti i limiti che la natura ci pone possono essere vissuti in modo diverso, magari come una sfida. Come è stato il mare per gli olandesi. Loro hanno strappato terre al mare e sono stati un popolo marinaro, hanno fondato un impero di cui c’è ancora traccia nell’America del Sud. Hanno creato una enorme ricchezza   e una civiltà fiorente sulla base di un rapporto difficile con il mare. Noi italiani non stiamo dimostrando una capacità neppure lontanamente comparabile». 
-Al di là dell’esondazione, il problema acqua a Sibari ci sarà sempre proprio per la posizione degli scavi e anche per questo il mantenimento dell’area archeologica è più costoso rispetto ad altri siti. 
«Ritorniamo all’esempio dell’Olanda. Anche lì c’è l’acqua, ma hanno creato un sistema di dighe, prestano cura e attenzione  e usano i fondi nel modo giusto. Da noi c’è un grandissimo spreco dei fondi comunitari di cui si fa un gran parlare. Vanno via in tangenti e bustarelle. Il problema è che non abbiamo imparato a convivere con la natura perché non abbiamo imparato l’arte del buon governo». 
-L’ex soprintendente archeologico della Calabria e di Pompei Pier Giovanni Guzzo  in un suo intervento sul nostro giornale parla di Sibari come dell’emblema dell’incerta politica economica che è stata e continua ancora ad essere attuata.
«Certo. Occorre spendere bene i fondi. Ma a Sibari c’è anche un Museo che dovrebbe essere valorizzato. Possibile che non si riesca a  valorizzare la storia e le leggende che ruotano attorno a Sibari per attrarre turismo? Si potrebbe sfruttare quello che già c’è o creare altro in modo che il Museo non sia un oggetto passivo. Con questo non voglio dare colpe alla Soprintendenza che fa quello che può, considerati i tagli che il settore cultura ha subito negli ultimi anni. E’ dal 1990 che non si fanno più assunzioni nei Beni culturali. Pensiamo anche a  Pompei. Non né un caso che negli ultimi tempi i crolli siano sempre più frequenti. Sibari è l’emblema di incapacità di fondere la cultura umanistica con quella tecnologica e industriale. Culture che si dovrebbero sposare a Sibari più che altrove».
-Purtroppo Sibari non è l’unico caso in Calabria. Rischia la ristruzione anche il sito dell’antica Caulonia a Monasterace Marina.
«Quello dell’antica Caulonia è un caso più semplice perché l’erosione della costa si potrebbe fermare o quantomeno arginare. Abbiamo saputo creare scogliere per la Coppa America a Napoli e non possiamo fare qualcosa  per salvare un sito archeologico importante? Una qualche soluzione c’è. Ma che studio è stato fatto? Chi si sta muovendo? Certo non si può pretendere che un piccolo Comune come Monasterace trovi il modo da solo di affrontare il problema. Sarebbe il compito della politica».
-Forse un  messaggio di speranza per il futuro può arrivare dalla rinascita dei Bronzi. Durante i primi giorni di esposizione c’è stato un bagno di folla al Museo di Reggio.
«Il Museo di Reggio se non sbaglio doveva aprire nel 2011, quindi siamo già con qualche anno di ritardo. Questa parabola della riapertura in forma ridotta per il momento insegna come sono importanti le persone. E’ merito del ministro Bray che ha imposto l’apertura anticipata anche se parziale. Ed è stata la migliore forma di assicurazione per evitare che i Bronzi facessero i globe trotter   per il mondo. Il Museo di Reggio è uno dei più importanti d’Italia, ma gli italiani non lo sanno. Fino a qualche anno fa gli italiani non sapevano che Genova è un’importante città d’arte. E’ stato ripulito il centro storico, è stata fatta una campagna di comunicazione e ora a Genova vanno moltissimi turisti. E’ possibile fare questo anche in Calabria?  Penso di sì. E allora muoviamoci».

LA beffa e l’oltraggio dell’oblio. Una storia che si ripete. Naturali corsi e ricorsi o il velo dell’indifferenza che copre la testimonianza di una civiltà millenaria? O peggio quella banalità dell’ignoranza e dell’ignavia che è mille volte più dannosa  dell’inesorabilità del tempo che passa? Per Sibari tutto questo. Ecco perché, a un anno dallo straripamento del fiume Crati e dalla coltre di fango che ha ricoperto come un manto l’importante area archeologica, si è imposta con forza una riflessione. Una scossa alla società civile e una provocazione alle istituzioni attraverso la semplice idea di un sms e di un evento collettivo (LEGGI L’EDITORIALE). «Trovo che l’iniziativa  lanciata dal direttore del Quotidiano Matteo Cosenza sia intelligente e opportuna».  

La voce autorevole di Salvatore Settis, studioso di fama internazionale, archeologo e storico dell’arte, risuona all’altro capo del telefono con la partecipazione  emotiva che gli deriva anche dal suo essere calabrese.  «L’idea è importante perché si rifà a due aspetti. Il primo è quello del crowd funding, cioè che si cerchino i fondi dalla folla e che i cittadini si possano tassare anche per una cifra molto piccola è significativo e non solo simbolicamente. E questo è  il carattere  provocatorio. Il secondo aspetto è che quanto più i calabresi, ma non solo i calabresi, risponderanno tanto più sarà evidente l’inadeguatezza delle istituzioni. Perché mentre abbiamo una Costituzione che con l’articolo 9 stabilisce la tutela dei beni culturali, c’è invece uno dei luoghi più importanti  della Magna Grecia che sembra non aver diritto alle cure adeguate. Il fatto di richiedere ai cittadini una contribuzione comunque non vuol dire che lo Stato deve abdicare alla sua funzione, ma che non sta facendo quello che dovrebbe».

-Lei ha scritto tanto anche su Sibari e insiste molto  sul concetto di bene comune  come cultura della prevenzione e su quello di “conservazione programmata”  che Giovanni Urbani, direttore dell’Istituto centrale per il Restauro teorizzò anni fa. Perché è così difficile in Italia e in Calabria un’operazione di questo tipo?

«E’ difficile, è vero, sia in Italia che in Calabria e per questo Urbani se n’è andato con anticipo sbattendo la porta. E’ andato via per protestare contro l’incapacità di capire l’importanza del tema della conservazione programmata. Si tratta di una proposta degli anni ’70-’80. La conservazione programmata e la cura dell’ambiente sono due aspetti dell’identica cosa. Se c’è un ambiente che richiede particolare cura proprio per la sua conformazione quello è l’Italia. E il caso Sibari è ancora più emblematico perché si tratta di una stratificazione culturale. Eppure negli ultimi anni le spese per l’ambiente sono state tagliate. Ma i danni sono iniziati anche prima, quando il ministero dei Beni culturali è stato separato da quello dell’Ambiente. Fu un errore. Oggi abbiamo due ministeri a metà e nessuno dei due funziona bene. Un esperimento fallito».

 -Beni culturali e ambiente sono fondamento della cultura identitaria di un popolo. Purtroppo in Calabria si è perso o forse non si è mai avuto  un senso autentico di identità. C’è una sorta di assuefazione alle brutture, alla violazione del paesaggio.

«E’ ancora peggio. Nel Sud c’è un totale disamore  verso la propria terra. E’ come se un cittadino assistesse a un delitto e non chiamasse neppure i carabinieri. A questa indifferenza colpevole si aggiunge una dialettica patriottarda  insopportabile del tipo “ma questi del Nord non sanno che noi avevamo Pitagora, abbiamo i Bronzi”. Ma che vuol dire? Pitagora, i Bronzi di Riace,  non sono dei meriti, sono dei regali immeritati. La retorica patriottarda è una malattia terribile  della cultura meridionale e di quella calabrese in particolare. Ed è negativa».

-Alla luce di tutto questo possiamo parlare di maledizione di Sibari o di messaggio di verità di Sibari?

«Innanzitutto si tratta di una condizione naturale. Ma tutti i limiti che la natura ci pone possono essere vissuti in modo diverso, magari come una sfida. Come è stato il mare per gli olandesi. Loro hanno strappato terre al mare e sono stati un popolo marinaro, hanno fondato un impero di cui c’è ancora traccia nell’America del Sud. Hanno creato una enorme ricchezza e una civiltà fiorente sulla base di un rapporto difficile con il mare. Noi italiani non stiamo dimostrando una capacità neppure lontanamente comparabile». 

-Al di là dell’esondazione, il problema acqua a Sibari ci sarà sempre proprio per la posizione degli scavi e anche per questo il mantenimento dell’area archeologica è più costoso rispetto ad altri siti. 

«Ritorniamo all’esempio dell’Olanda. Anche lì c’è l’acqua, ma hanno creato un sistema di dighe, prestano cura e attenzione  e usano i fondi nel modo giusto. Da noi c’è un grandissimo spreco dei fondi comunitari di cui si fa un gran parlare. Vanno via in tangenti e bustarelle. Il problema è che non abbiamo imparato a convivere con la natura perché non abbiamo imparato l’arte del buon governo». 

-L’ex soprintendente archeologico della Calabria e di Pompei Pier Giovanni Guzzo  in un suo intervento sul nostro giornale parla di Sibari come dell’emblema dell’incerta politica economica che è stata e continua ancora ad essere attuata.

«Certo. Occorre spendere bene i fondi. Ma a Sibari c’è anche un Museo che dovrebbe essere valorizzato. Possibile che non si riesca a  valorizzare la storia e le leggende che ruotano attorno a Sibari per attrarre turismo? Si potrebbe sfruttare quello che già c’è o creare altro in modo che il Museo non sia un oggetto passivo. Con questo non voglio dare colpe alla Soprintendenza che fa quello che può, considerati i tagli che il settore cultura ha subito negli ultimi anni. E’ dal 1990 che non si fanno più assunzioni nei Beni culturali. Pensiamo anche a  Pompei. Non né un caso che negli ultimi tempi i crolli siano sempre più frequenti. Sibari è l’emblema di incapacità di fondere la cultura umanistica con quella tecnologica e industriale. Culture che si dovrebbero sposare a Sibari più che altrove».

-Purtroppo Sibari non è l’unico caso in Calabria. Rischia la ristruzione anche il sito dell’antica Caulonia a Monasterace Marina.

«Quello dell’antica Caulonia è un caso più semplice perché l’erosione della costa si potrebbe fermare o quantomeno arginare. Abbiamo saputo creare scogliere per la Coppa America a Napoli e non possiamo fare qualcosa  per salvare un sito archeologico importante? Una qualche soluzione c’è. Ma che studio è stato fatto? Chi si sta muovendo? Certo non si può pretendere che un piccolo Comune come Monasterace trovi il modo da solo di affrontare il problema. Sarebbe il compito della politica».

-Forse un  messaggio di speranza per il futuro può arrivare dalla rinascita dei Bronzi. Durante i primi giorni di esposizione c’è stato un bagno di folla al Museo di Reggio.

«Il Museo di Reggio se non sbaglio doveva aprire nel 2011, quindi siamo già con qualche anno di ritardo. Questa parabola della riapertura in forma ridotta per il momento insegna come sono importanti le persone. E’ merito del ministro Bray che ha imposto l’apertura anticipata anche se parziale. Ed è stata la migliore forma di assicurazione per evitare che i Bronzi facessero i globe trotter   per il mondo. Il Museo di Reggio è uno dei più importanti d’Italia, ma gli italiani non lo sanno. Fino a qualche anno fa gli italiani non sapevano che Genova è un’importante città d’arte. E’ stato ripulito il centro storico, è stata fatta una campagna di comunicazione e ora a Genova vanno moltissimi turisti. E’ possibile fare questo anche in Calabria?  Penso di sì. E allora muoviamoci».

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