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LUNEDÌ scadono i termini per presentare la propria candidatura al Senato Accademico, ma il clima della vigilia elettorale è molto diverso da quello che si respirava tre anni fa quando l’ateneo era in assetto da campagna elettorale permanente in vista della scadenza del plurimandato del rettore Latorre. Lo si percepiva chiaramente ieri in un’assemblea pre elettorale poco partecipata (una sessantina tra docenti e ricercatori, rispetto ad un corpo elettorale di oltre 800 aventi diritto, per fermarci solo ai professori) e dai toni piuttosto sereni. Il che può essere un bene, ha spiegato il senatore uscente Roberto Guarasci, dal momento che «questo turno elettorale può essere l’occasione per superare le divisioni del passato e consegnarci un Senato in grado di esercitare una reale capacità di indirizzo».

Guarasci è uno dei candidati e corre per i seggi assegnati ai professori. Tra le candidature già depositate o comunque annunciate ci sono poi quelle dei direttori di dipartimento Raffaele Perrelli (Studi Umanistici), Nicola Leone (Matematica e Informatica), Leonardo Pagnotta (Ingegneria meccanica, energetica e gestionale), Francesco Raniolo (Scienze politiche e sociali), Franco Rubino (Scienze aziendali e giuridiche), Sebastiano Andò (Farmacia), Vincenzo Carbone (Fisica). Al momento si sa poi che si candideranno, per la quota professori, oltre a Guarasci, la professoressa Claudia Stancati, il ricercatore Massimo Migliori, i direttori Paolo Veltri (Ingegneria Civile), Cesare Indiveri (Biologia, ecologia e scienze della terra), Sergio Greco (Ingegneria informatica, modellistica e sistemistica). Si candiderà anche il neo eletto direttore di Chimica e tecnologie chimiche, Alessandra Crispini (ma non è chiaro se in quota direttori o docenti), mentre non si hanno notizie certe sulle intenzioni del direttore del dipartimento di Economia, statistica e finanza, Filippo Domma.

Al nuovo Senato si chiedono almeno due cose: che riesca ad incidere di più, come organo di indirizzo, e che metta mano alla riforma dell’offerta formativa dell’ateneo. «Così com’è il Senato serve a poco, per questo non mi ricandido – ha detto Girolamo Giordano – Ma non è stata colpa dei senatori, né del rettore attuale o di quello precedente, che pure ci ha lasciato pieni di debiti tra edilizia e mutui. Abbiamo inciso poco per le funzioni attribuite e le falle dello Statuto». Deluso di questi tre anni si è detto anche l’uscente Sergio Greco. «Mai messo in agenda la revisione dello Statuto e sulla didattica si è visto poco». Su questo secondo punto il Senato non ha rispettato le attese, rinviando la revisione dell’offerta formativa all’anno accademico che sta per iniziare. I senatori uscenti hanno invocato un “ravvedimento” di molti dipartimenti, troppo inclini a proporre nuovi corsi di laurea e aggiunte di crediti senza decidere prima di chiudere ciò che è poco sostenibile. Ecco perché il rettore Gino Crisci ha chiesto ieri un «atteggiamento più coraggioso», unito alla consapevolezza «che non esiste la libera università dei dipartimenti» e alla capacità per i futuri senatori «di spogliarsi dalle appartenenze».

La necessità di metter mano alla didattica, ad ogni modo, ieri era questione condivisa. I numeri, citati da Carbone, «segnalano che un problema c’è. Abbiamo il 20 per cento di abbandoni tra primo e secondo anno e un tasso di laureati in corso alla triennale che è appena del 10 per cento rispetto ad una media italiana del 55 e Ocse del 75». Andò sul tema si prepara a dare battaglia, seguendo il sogno di un Polo sanitario all’Unical nell’ambito, per dirla con le sue parole, «di una offerta formativa post moderna, rivisitata perché risulti più corrispondente alla domanda, più attrattiva e più redditizia». Certo, serve un modello di valutazione della didattica. «È il primo passaggio che mi aspetto dal nuovo Senato – ha detto Raffaele Perrelli – Costruiamo questo modello, dal momento che non c’è. Certo, non può bastare il numero di crediti conseguiti ogni anno dagli studenti, come parametro di valutazione, perché si rischia di veder abbassare le richieste in sede d’esame. Né Almalaurea può essere la bibbia: serve uno slancio formativo, che non è misurabile solo con il mercato».

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