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ACRI (CS) – La notizia della scomparsa di Ettore Scola, ad Acri ha lasciato un’eco di profonda emozione. Il Maestro era stato nel centro presilano lo scorso novembre, in una delle sue ultime apparizioni pubbliche, per ricevere il Premio Padula, per la sezione internazionale “Vincenzo Talarico”.

Prima di lui, questo riconoscimento era stato assegnato a colleghi della risma di Mario Monicelli, i fratelli Taviani, Gianni Amelio, Pupi Avati, Carlo Verdone e Gabriele Salvatores, solo per fare qualche nome.Grazie al Premio Padula, da queste parti la gente è stata “educata” alla presenza e alla testimonianza di nomi che hanno fatto la storia del cinema. Come gli altri, anche Ettore Scola, ha lasciato la sua traccia nel walk of fame della rassegna nel nome del celebre intellettuale acrese.

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Chi ha incontrato il regista di sfuggita, nei due giorni di permanenza ad Acri, ha ricavato l’impressione di una personalità stanca, sfuggente, in molti casi poco interessata al confronto. Ma quelle ore trascorse nella città di Padula hanno regalato anche interessanti momenti privati, ricchi di spunti per la penna del cronista. Come quelli raccontati dalla moglie Gigliola, che, come un fiume in piena, a tavola rievocava le tante serate trascorse con grandi personalità del cinema nostrano, quali, solo per fare un esempio, Nino Manfredi.

Ettore Scola, per chi lo ha semplicemente ascoltato durante la cerimonia di premiazione, ad Acri ha lasciato solo la leggerezza tipica dei grandi, assai poco interessante per scrivere un articolo, ma di grande impatto emotivo per chi semplicemente si è ritrovato ad ascoltarlo quando declinava la sua ammirazione per il dialetto calabrese in una dichiarazione d’amore.

Il suo cinema è la prospettiva degli ultimi, degli emarginati. Questo in politica significa una professione di fede per una ben precisa area, come quando, poco prima della premiazione, nel museo Maca, chiedeva al presidente della fondazione Padula, Giuseppe Cristofaro, che fine avesse fatto «la nostra sinistra».

Non voleva essere chiamato “Maestro”, ma ai circa trecento alunni venuti a seguire il seminario sulle sue pellicole, promosso da Giovanna Taviani, ha impartito una lezione. Di vita, prima che di cinema.

Peppe Cristofaro ha un ricordo commosso di Scola, «la cui personalità ha regalato uno dei momenti più alti e commoventi della storia del Premio»”. Nelle immagini impresse nella memoria, le qualità che si stagliano sono quelle di «un uomo attento, riservato e ironico», in grado di «renderti partecipe, con semplicità e umiltà, di momenti di straordinaria intensità». Nel corso della cerimonia di premiazione, che ha avuto luogo nel centro presilano lo scorso 7 novembre, Ettore Scola ha ricevuto anche l’inchino di un mostro sacro della letteratura internazionale, come Daniel Pennac, che si è detto un fan del cinema di Scola, in grado di dividere la sua famiglia, per il gradimento che ognuno dei componenti accordava all’uno o all’altro suo film. Tutti concordi comunque ad affermare la sua grandezza.

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