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Un momento della festa dei popoli

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RENDE (COSENZA) – «Il mio compleanno è il primo maggio. Ma non ho festeggiato. Ho solo pianto quel giorno, perché da due anni non vedo mia madre. Sono andato via da casa, senza neanche vederla. Potete immaginare cosa significa. E sono venuto in Italia non come migrante irregolare, sono venuto attraverso un canale legale, ma andare via è una sofferenza per tutti. Per questo il dovere che abbiamo è quello di imparare a considerare l’altro in maniera inclusiva, non esclusiva. Metterlo dentro di noi, metterci nei suoi panni e capire per quale motivo ha lasciato casa sua».

Jacques Antoine è uno dei circa 600 studenti internazionali iscritti all’Università della Calabria, protagonisti in questi giorni della “Festa dei Popoli” (LEGGI LA NOTIZIA DELL’INAUGURAZIONE), l’evento dedicato ai temi dell’integrazione e dell’accoglienza rinata quattro anni fa, dopo le prime edizioni degli anni ’90 realizzate insieme all’indimenticato Luigi Commisso. Jacques Antoine non è arrivato in Italia su un barcone, non è stato costretto ad affidarsi agli scafisti. È arrivato in Italia, è arrivato in Calabria grazie a Unical Admission, il programma che l’ateneo calabrese riserva agli studenti internazionali.

Quest’anno sono arrivate 3mila domande e 2.200 sono quelle valutabili. Jacques Antoine ha raccontato la sua esperienza stamattina, durante il convegno d’apertura che ha visto la partecipazione delle amministrazioni di Rende, Montalto, Castrolibero e Badolato, del presidente di Andisu (l’Associazione nazionale degli organismi per il diritto allo studio universitario) Carmelo Ursino e del prefetto Rosetta Scotto Lavina, responsabile della Direzione per le Politiche dell’Immigrazione e dell’Asilo del ministero dell’Interno. Jacques Antoine racconta del suo primo anno e dell’appartamento condiviso con colleghi del Pakistan, del Sudan, del Congo. Racconta che il suo migliore amico è uno studente italiano, Vincenzo, che prima di incontrare lui non aveva mai rivolto la parola ad un ragazzo di colore. «Vincenzo aveva paura dell’altro, perché non lo conosceva. E in realtà non conosceva se stesso: qui abbiamo imparato a conoscerci insieme. Io ringrazio l’Unical e le istituzioni italiane, perché studiare qui non è solo un modo per aiutare lo sviluppo dei nostri Paesi, ma è anche un’occasione di crescita personale», continua. E mette in guardia da un rischio, ovvero che le singole etnie presenti all’Unical finiscano per formare comunità a sé.

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«Vivere insieme significa agire insieme e combattere per le stesse cause», dice. Insieme a lui prendono la parola Maria José Lopez, studentessa dell’Ecuador, e Luigi Spadafora, studente liceale e volontario della Crocerossa. L’esempio dell’Unical è stato considerato dal ministero dell’Interno una buona prassi, tanto da essere preso come modello nella stesura del progetto U4Refugees, che consente ai rifugiati di proseguire nelle università italiane gli studi interrotti nei propri Paesi. Lo sottolinea durante il convegno il prefetto Scotto Lavina: «È un progetto di cui vado fiera e che diventerà un’azione di sistema. E sono lieta di averlo realizzato in collaborazione con l’Unical».

Il cuore della Festa dei Popoli è il Centro residenziale. Conta 2400 posti letto, un quarto dei quali assegnati a studenti stranieri. «Siamo la città più internazionale d’Italia», commenta il prorettore delegato al Centro, Luigi Filice, che fa gli onori di casa insieme al rettore Gino Crisci. Tutto con fondi di bilancio dell’ateneo, come sottolinea il delegato all’internazionalizzazione dell’Unical Alberto Ventura. Un impegno «meritorio» dice Ventura. Ma pure gravoso. Il presidente di Andisu Ursino non a caso richiama, nel corso del suo intervento, la collaborazione di altre istituzioni e l’individuazione di nuove fonti di finanziamento.

«L’inclusione è un nostro valore, lo difendiamo con forza. Ma le risorse del diritto allo studio non bastano. Su 43mila posti letto in Italia, circa il 38 per cento è assegnato a studenti internazionali. Su 115mila vincitori di borse di studio, il 14 per cento sono studenti internazionali. Ma gli idonei totali, italiani e non, sono 124mila: non tutte le domande, quindi, vengono soddisfatte perché a fronte di un fabbisogno di 620 milioni i fondi per il diritto allo studio arrivano a 510 milioni circa. Per costruire ponti – dice Ursino – servono mattoni, altrimenti facciamo demagogia».

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