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Adelmo Cervi

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Adelmo Cervi, familiare vittima del fascismo, quanto è importante fare memoria della lotta partigiana in questo momento storico?

«Fare memoria significa attualizzare i principi della lotta di liberazione che i partigiani condussero più di settant’anni fa. Senza memoria una società non ha futuro. Per la nostra libertà sono caduti migliaia di compagni ed è stata praticamente sterminata la mia famiglia. Ho perso mio padre e i suoi sei fratelli. E’ importante parlare di vecchie e nuove resistenze qui a Napoli, e nello specifico a Scampia, perché la memoria non è mai stantia operazione di nostalgia, ma strumento per continuare a battersi contro le ingiustizie del presente».

Nella società odierna, chi sono i partigiani del duemila?

«Sono quelli che hanno il coraggio di schierarsi con chi non ce la fa, con chi resta indietro, con chi abita nelle periferie. Essere partigiani oggi, come ieri del resto, vuol dire difendere il diritto di tutti all’esistenza. La nostra Costituzione è nata dal sangue di migliaia di giovani che hanno sacrificato la loro vita pur di poter garantire a noi tutti la possibilità di una piena espressione sociale. Essere partigiano del terzo millennio significa scegliere come orizzonte valoriale la pace e la solidarietà. Non bisogna avere paura di testimoniare questo modo di stare al mondo: non possiamo rassegnarci, del resto, a vivere in una società della guerra, attraversata da forme striscianti di razzismo».

Chi teme il risveglio delle coscienze meridionali?

«Chi ha tradito lo spirito della nostra Costituzione, legittimando un Paese diviso sia territorialmente sia socialmente. Le mafie, la corruzione, le disuguaglianze, sono strumenti di potere nelle mani di lobby senza scrupoli, la cui politica non ha nulla da spartire con lo spirito e le idealità della resistenza partigiana. Mafie e disuguaglianze sono facce della stessa medaglia. Provo a spiegarmi: svolgono a mio avviso una funzione di controllo del sottosviluppo civile e sociale dei territori. E’ arrivato il momento di fare delle scelte e operare concretamente per mettere in discussione questo modello di società basato sulla prepotenza e sulla violenza. Non sono uno specialista del fenomeno mafioso, ma ho un’importante esperienza di vita che mi spinge ad affermare che sono proprio luoghi come questi a Scampia e iniziative del genere, nate dal basso e in comunione tra territori del Mezzogiorno, a fungere da antidoto sociale al veleno delle mafie. Dobbiamo stimolare i più giovani, non smettere mai di parlare al loro cuore. Nell’attuazione della Carta costituzionale ci sono tutti i dispositivi pedagogici per ricostruire il Sud e il nostro Paese».

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