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Il rettore Gino Crisci

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RENDE (COSENZA) – «È l’ultimo anno, ma di certo non tiro i remi in barca. Anche perché non devo ricandidarmi». Gino Crisci è nel suo studio, o meglio, in quello che è diventato il suo studio il primo novembre di cinque anni fa, quando venne eletto rettore dell’Università della Calabria. Il primo rettore dell’era post Gelmini, quindi con un unico mandato da sei anni.

Se le previsioni normative fossero diverse, si ricandiderebbe?

«No. Fare il rettore, farlo davvero, garantendo una presenza costante e cercando di tenere insieme l’università, è faticoso».

Facciamo un passo indietro. Questi cinque anni sono stati come li immaginava?

«Sapevo che sarebbero stati difficili, non pensavo così tanto. Soprattutto gli ultimi tre, anche per effetto di una serie di fattori esterni che hanno limitato le nostre opportunità. Parlo della distribuzione delle risorse da parte del governo centrale. In questi anni ci siamo confrontati con il ministero, abbiamo ricevuto promesse, ma non è cambiato molto: le università del Sud continuano a essere massacrate. Per fortuna i rapporti con il territorio sono stati ottimi».

Beh, l’eccessiva vicinanza al territorio, se con questo intende l’attuale governo regionale, le è stata contestata.

«Una polemica strumentale. Non sono un rettore “di parte”: dialogo con la Regione così come mi confronto con tutti gli enti locali. Nessuno può dire di aver trovato da parte dell’università un atteggiamento ostile: abbiamo cercato di offrire il nostro aiuto al territorio e di trovare sostegno per i nostri obiettivi. Ho firmato un protocollo d’intesa con il sindaco di Cosenza che prevede di dislocare nel centro storico residenze per 2mila studenti, quando sarà operativa la metrotranvia. E dalla Regione in cinque anni abbiamo ricevuto oltre 50 milioni di euro di finanziamenti. D’altra parte, siamo rimasti impermeabili a ogni ingerenza esterna».

In quei finanziamenti ci sono anche le risorse che vi hanno permesso di riconoscere la borsa di studio a tutti gli aventi diritto. Però quel risultato ora deve diventare strutturale.

«Ci proveremo. Servono 20 milioni di euro, non sono pochi. Ma sul diritto allo studio in questi anni abbiamo condotto una battaglia importante».

“Questo sarà l’anno della didattica”. In assemblea, prima del voto per il Senato, le hanno rimproverato di ripetere quest’annuncio ogni anno.

«Non era solo un annuncio. Molte cose sono state fatte, altre sono state impostate. La Regione ha finanziato con 7 milioni di euro l’adeguamento tecnologico delle aule: uno strumento in più, che migliorerà l’insegnamento. Saranno realizzati tre “cubetti” nuovi destinati alla didattica cooperativa, per favorire la collaborazione creativa tra studenti e docenti. Abbiamo avviato progetti per intervenire anche nelle scuole superiori e colmare le lacune che spesso le matricole mostrano. E anche l’offerta formativa è cresciuta. Penso ai nuovi corsi in Biotecnologie, Ingegneria alimentare, Intelligence, Assistenza sanitaria, Finance and Insurance. Qualcosa è stato fatto. Non dimentichiamo che ci scontriamo anche con limiti ministeriali. E negli ultimi due anni in Senato c’è stata qualche difficoltà. Confido nel fatto che nel prossimo saranno superate».

Allude alle tensioni e agli scontri con la sua ex maggioranza. Cosa le fa pensare che nel prossimo non ci saranno?

«Lo spero. Io proporrò commissioni per lavorare sui singoli temi. In passato hanno funzionato. Sul Senato Accademico Latorre aveva ragione: 22 membri forse sono troppi per essere operativi».

In assemblea è stato detto che il Senato non funzionava perché lei non istruiva le pratiche e organizzava i lavori.

«Gli atti e i verbali credo dicano altro. La litigiosità dell’ultimo Senato è inconfutabile».

Quando indirà le elezioni studentesche?

«Sto meditando. Vorrei garantire un’ampia partecipazione ed evitare ricorsi. Siamo a cavallo tra due anni accademici e se votiamo con il vecchio decreto i nuovi iscritti saranno esclusi. Se ne facciamo uno nuovo, servirà tempo».

Come sono andate le immatricolazioni quest’anno?

«Bene. Alle triennali c’è una lieve flessione rispetto allo scorso anno (da 4.360 a 4.181, nda) ma restiamo comunque in crescita rispetto a due anni fa (4.084, nda). La vera sfida è sulle magistrali, ma stiamo andando meglio rispetto al passato».

Il campus era uno dei punti rilevanti del suo programma cinque anni fa. È soddisfatto dei risultati?

«Abbiamo rilanciato il campus e lo abbiamo fatto conoscere a livello nazionale. Abbiamo ripreso la nostra identità di università speciale e siamo riusciti a calarla nel territorio. E sono orgoglioso di aver mantenuto la gestione pubblica di tutti i nostri alloggi».

Sui servizi, però, qualche ritardo c’è. Il supermercato, i punti ristoro…

«Dobbiamo fare i conti con le norme e la burocrazia. E se si riferisce al punto ristoro al centro del ponte, le ricordo che il contenzioso è stato complesso e lungo».

Un errore che si rimprovera?

«L’aver creduto che alcuni cambiamenti potessero essere più rapidi. Avrei dovuto assumere con maggior forza alcune posizioni. Poi ci sono state alcune delusioni. L’ultima è non essere riuscito a portare un membro del personale tecnico-amministrativo in CdA. Lo avevo proposto, ho trovato in Senato l’ostilità di rappresentanti dello stesso personale».

Ora deve sostituire Alfio Cariola in CdA. Può riprovarci.

«Vedremo».

Mi pare del resto che lei sia soddisfatto dell’esito delle elezioni del Senato per la componente del personale tecnico e amministrativo.

«Devo dire che il pta ha dimostrato grande maturità. E che il risultato parli chiaro: i candidati che in assemblea avevano contestato la governance non sono stati eletti. Io credo di essere stato un rettore aperto e disponibile con il pta. Ho anche stabilizzato oltre cento unità».

A distanza di due anni, crede che lo strappo con i professori Perrelli, D’Ignazio, Veltri si potesse evitare?

«Non saprei dirglielo, perché io ancora non ho capito le ragioni di quello strappo».

Venendo a fatti più recenti, cos’è successo con il professor Ventura? Perché ha lasciato la delega?

«Da quello che ho capito mi rimprovera di non averlo sostenuto alle elezioni per il Senato. Lui mi ha detto solo il penultimo giorno che era in difficoltà e io non ho la bacchetta magica. Al posto suo però mi chiederei perché parte del corpo docente non abbia rispettato gli accordi. Lui, ad esempio, era sostenuto da due dipartimenti».

Il voto, però, è libero e segreto.

«Io non sto parlando di accordi sottobanco, ma di accordi votati dai consigli di dipartimento. Perché è mancata chiarezza? È successo anche con la professoressa Crispini, sono rimasto allibito».

Che farà la prossima estate? Sosterrà un suo candidato alle elezioni per il nuovo rettore o resterà a guardare?

«Ci sto pensando. Da parte mia, se i colleghi lo riterranno utile, potrò suggerire cosa cercare in un aspirante rettore per questo ateneo».

Ha un identikit da proporre?

«Sì. Che sia un grande ricercatore e una persona propensa a mediare e a costruire. Con l’autoritarismo questo ateneo salterebbe in cinque minuti».

E lei come si vede invece il prossimo anno?

«Come un professore universitario vicino alla pensione. Riprenderò le cose che ho dovuto lasciare in sospeso, seguirò da vicino i siti archeologici su cui il mio gruppo di ricerca lavora, viaggerò. Cinque anni fa se non fossi stato eletto rettore, sarei partito per l’isola di Pasqua. Avevo già il biglietto. Mi aveva invitato un collega cileno, per un studio sul recupero dei Moai…».

Non le piacerebbe fare un’esperienza politica?

«Non so, dovrei pensarci. Di sicuro vado in pensione dall’università, ma non mi ritiro dalla vita pubblica».

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