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Il fotografo Massimo Scogliamiglio

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COSENZA – Come si fa a raccontare l’umanità nella sua essenza? Imparando a vedere, mettendo da parte le parole e, perché no, sbarrando le porte anche alla caciara digitale che ci circonda, polarizza le cose e le trasforma in propaganda. Come si fa a raccontare una umanità che ha attraversato deserti, è fuggita ad aguzzini della specie peggiore, ha sfidato la morte per una promessa di vita?

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Massimo Scognamiglio, fotografo di moda, ritrattista e reporter, ci è riuscito. Lo ha fatto raccontando lo sbarco di 650 migranti a Vibo Valentia e imbarcandosi per una settimana sulla nave Aquarius, la stessa nave oggi sotto sequestro per smaltimento di rifiuti pericolosi. Quella esperienza l’ha materializzata agli occhi “stanchi” d’Occidente con fotografie potenti raccolte sotto il nome “Terra!” e da ieri in mostra nella sede centrale del Quotidiano del Sud fino al 30 di dicembre. Una iniziativa voluta dall’istituto studi storici di Cosenza in collaborazione con la fondazione Mario Dodaro. E ieri, in occasione dell’apertura, di tutto questo se ne è parlato in una presentazione moderata dal direttore Rocco Valenti e introdotta dal vicepresidente dell’Istituto promotore, Paolo Graceffa. Qui Scognamiglio si è concesso senza tentennamenti, raccontando i principi che muovono il suo lavoro.

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«Quando scatto – dice – mi metto sempre a disposizione di chi osservo. In un certo senso bisogna imparare a vedere e non mostrare. In questa occasione ho voluto immortalare un passaggio, quello dall’acqua alla terra. Una terra promessa? No, solo un attimo di stabilità. Per fare questo ho ritratto l’umanità per quella che è, senza schierarmi. Eppure un semplice sguardo di questi tempi è un atto politico, osservare senza preconcetti o bandiere è politico».

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Difficile riassumere quei giorni: «Nel processo di selezione ho volutamente cercato sguardi meno consapevoli, dove spunta la vera natura del soggetto. Questo volevo raccontare, chi arriva, l’Italia migliore che ho visto agli sbarchi, la Polizia, l’Unhcr, i volontari, la Croce Rossa. Tutti quei piedi scalzi ai quali venivano consegnate delle ciabatte, quasi un atto biblico». Nessun preconcetto dunque: «Tutto questo l’ho fatto non per sentirmi migliore, ma per osservare realmente quello che sta accadendo. È qualcosa che consiglio a tutti, lasciare il caos dei social e scegliere di essere volontari. La vera patria l’ho vista nell’accoglienza, che tutti dovrebbero vedere, magari smettendo di seguire la vulgata e i luoghi comuni che produce». A fianco a Massimo Scognamiglio c’è uno dei volti di quella Italia migliore e un pezzo importante di Calabria. Orlando Amodeo, ex primo dirigente medico della Polizia, volto onnipresente dal 1993 in ogni sbarco.

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In tutta la mostra c’è soltanto una foto del mare: è associata allo sguardo profondissimo di un uomo, i suoi occhi si perdono nelle ombre ma sembrano di fiamme. Un mare che a bordo dell’Aquarius faceva paura, circondava tutto, non lasciava spazio alla terra. «Bisogna partire dal presupposto che già a 200 metri dalla costa si può morire affogati, soprattutto di questi tempi. Fa veramente molta paura, così come sapere che quindici metri più in basso della Aquarius poteva esserci una barchetta stipata all’inverosimile di gente». Il mare resta dunque uno dei protagonisti.

«È un luogo durissimo, una prova che tantissime persone sono costrette a subire. Nessuno di loro vorrebbe lasciare la propria casa, rischiano la vita, superando torture e evitando di affogare eppure l’hanno fatto. Bisogna interrogarsi allora sul perché sono disposti a superare prove così dure pur di raggiungere un altro luogo». Scognamiglio racconta quella settimana passata nella nave. «Ci fu un solo momento di scontro, quando fotografai i volontari pronti a partire per recuperare quattro corpi raccolti da una nave militare francese, uno era un bambino». E’ stata una notte molto dura». Tutto questo è finito nella mostra, divisa in tre momenti: lo sbarco (l’alfa), i corpi di chi non ce l’ha fatta tra gli agenti delal scientifica a Pozzallo (l’omega). In mezzo i bambini, l’umanità del futuro.

«Nella pubblicità – dice Scognamiglio – si dice che fotografare bambini e animali vuol dire non avere idee. Io ho fotografato dei bambini, ma non l’ho fatto per “catturare” lo sguardo del pubblico. In quei volti ci ho visto una speranza per un futuro migliore, quello che i loro genitori non sono riusciti ad avere». E poi, in fondo, anche «io mi sono arricchito con questa esperienza. Ricordo di aver raccolto la testimonianza di un volontario di Sos mediterranee. Sostanzialmente disse: “Sai quante volte diciamo “aspetta” a qualcuno in mare mentre salviamo chi è a fianco a lui?”. E quanti di questi ragazzi sono minori non accompagnati che cercano di raggiungere le famiglie o partono perché le hanno perse». In mezzo al caos Mediterraneo e alla propaganda sovranista la speranza c’è: nei volontari, in chi si batte ogni giorno sulle navi e chi accoglie senza timore. E c’è anche spazio per un desiderio: «Vorrei avere un’Eurpa capace di imparare dalla propria diversità – dice Scognamiglio – e non una politica che gestisce questa cosa nel più brutale dei modi. “Uccideteli là”», mentre il resto del Mondo resta travolto dalla totale assenza di empatia.

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