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Maria Procopio e il marito Pasquale

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DELLA «biologa-casara» Maria Procopio parlava in tempi non sospetti il nostro Gianfranco Manfredi, che nelle sue Tavole a Sud iniziava a imbattersi sempre più spesso nei gioielli di latte prodotti a Campora San Giovanni, basso Tirreno cosentino: un caprino alle vinacce, un pecorino stravecchio e un caprino erborinato, e ancora “gessati” o aromatizzati (allo zenzero, alla curcuma, al peperoncino, alla cera d’api), ricotta affumicata…

Un’esplosione di colori e gusto a restituire un pezzo di Calabria inaspettata, quella fatta di tante piccole località costiere che, in linea con una regione in direzione perennemente ostinata e contraria, svettano non tanto nella cucina e nelle produzioni legate al mare quanto nei sapori figli della terra.

Tra lo Ionio e il Tirreno ci sono tanti centri come Amantea, e la rete di trattorie e agriturismi a mezza collina rappresenta una vetrina di eccellenze a chilometro zero, giusto per ricorrere a un binomio trito e ritrito (oltre che usato, spesso, a sproposito).

Maria una decina di anni fa ha creato, con il marito Pasquale, il suo anfratto a duecento metri sul livello del mare. «Un piccolo allevamento di Capre Saanen note per le caratteristiche del loro latte delicato e poco grasso»: poche parole semplici per spiegare questo paradiso vista mare (Mirabella, il nome della contrada, dice molto del luogo).

La magia del posto e della storia sta anche nel protagonismo assoluto della parte femminile della coppia, un elemento che in verità è sempre più facile incontrare nelle piccole e grandi realtà produttive della Calabria, tanto da non far più notizia.

Ma questa è anche una storia di doppia emigrazione, o di immigrazione di ritorno che dir si voglia: un po’ come il maestro dei birrai-artigiani calabresi, Pasquale Barritta a Spilinga, o Ugo Sergi tornato a coltivare bergamotti lungo la valle dell’Amendolea rendendo la vecchia casa di famiglia enclave ellenica e tappa immancabile dei cicloturisti di tutta Europa.

Maria e Pasquale tornano dal Piemonte dell’emigrazione amara del secondo dopoguerra, quella cantata da Paolo Conte. Arrivata l’età da pensione, sembra che l’orizzonte svanisca davanti all’inedia.

«Se non facciamo niente moriamo prima» spiega Maria alla giornalista di IdentitàGolose che ne ha raccontato la storia. Le 20 capre da cui tutto nasce arrivano proprio da un’azienda agricola del Torinese, poi la formazione e il trasferimento in Calabria: attualmente i capi si sono quintuplicati, l’allevamento di Campora San Giovanni rappresenta una particolarità nel sud Italia dal momento che la razza Saanen – originaria della Svizzera ed estesa in seguito in molti Paesi europei ed extraeuropei – ha la sua maggiore diffusione nelle regioni dell’arco alpino, con altre presenze nel resto del territorio nazionale.

La produzione vanta dieci tipi di formaggio, tra cui uno spalmabile e i tomini, una “robiolina” e una piramide al carbone vegetale. Chicche che non è difficile – e qui rieccoci alle tavole di Manfredi da cui eravamo partiti – trovare nei ristoranti della Calabria attenti al territorio.

L’esperienza di Maria Procopio e della sua azienda Santanna non a caso è stata inserita in “Agronauti” (non si tratta di un refuso ma il riferimento al “vello d’oro” di Giasone è voluto), il gruppo di produttori su cui lo chef Claudio Villella dell’Olimpo a Catanzaro Lido punta per raccontare la Calabria che collabora anziché dividersi in inutili gelosie o campanilismi. Maria e Pasquale sono i testimoni di una ripartenza e di un sogno, nel loro piccolo fazzoletto di Svizzera affacciato sul mar Tirreno.

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