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Gabriele Mainetti e Max Mazzotta

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L’ARRIVO nei cinema italiani di Freaks Out, film diretto da Gabriele Mainetti, nato da un soggetto di Nicola Gaglianone, basato su una sceneggiatura scritta a quatto mani da Guaglianone e Mainetti, e premiato alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia con il Leoncino D’Oro, ha una valenza unica. Per usare un’iperbole è come se la Stella Cometa, dopo aver indicato una nuova direzione da seguire, si fosse trasformata in un asteroide che precipitando sulla terra distrugge un po’ tutto, dando vita a un nuovo corso, a nuovi panorami, a nuovi orizzonti. Insomma, qualcosa è cambiato.

Alcuni se ne sono già accorti, altri se ne accorgeranno a breve, per molti la consapevolezza arriverà col tempo, ma appare chiaro che tale cambiamento, che ha a oggetto il mondo del Cinema italiano, veste i panni dell’ineluttabilità. Succede sempre così quando si dimostra che un’idea reputata impossibile è invece realizzabile, combinando la giusta dose di follia, talento e pazienza.

Freaks Out è quel tipo di film che non ti aspetti di vedere nascere “Sotto il sole di Roma” (Titolo originariamente pensato per la pellicola). L’opera, prodotta da Lucky Red e GoonFilms con Rai Cinema, in coproduzione con Gapbusters, che vanta anche il patrocinio della Regione Calabria e della Calabria Film Commission (al tempo delle riprese presieduta da Giuseppe Citrigno), presenta una narrazione fortemente citazionista, la quale spazia nel genere fantastico, attingendo a un immaginario collettivo dirompente, tipica di un certo registro cinematografico americano, a cui si sposa una visione della vita, un desiderio di riscatto, di giustizia, di famiglia, di comunità, tutto italiano.

Chi ha visto il film ha assistito a un nuovo modo di concepire la narrazione o forse alla concretizzazione del coraggio di dare vita a un diverso stile narrativo che non ha paura di osare andare oltre i confini di ciò che si può immaginare.

È questo l’elemento fondamentale, l’essenza più profonda della pellicola, che il regista e Max Mazzotta hanno presentato giovedì scorso, prima nel corso di una MasterClass tenutasi presso il Teatro Auditorium dell’Unical, e poi durante un incontro condotto da Raffaella Salamina, che ha preceduto la proiezione del film, sul palco del Cinema Citrigno a Cosenza. Un doppio appuntamento che ha evidenziato quanto questo film abbia nel proprio Dna una forte componente calabrese.

Hanno origini calabresi sia Aurora Giovinazzo, la passionale attrice protagonista, che Nicola Guaglianone. Sono calabresi molte delle comparse reclutate a Cosenza per le scene girate sulla Sila. È cuore di Calabria lo storico Treno delle Ferrovie della Calabria che attraversa parte del Parco Nazionale della Sila, location della seconda metà del film. È orgoglio calabrese Giuseppe Citrigno, presidente dell’Anec Calabria (Associazione Nazionale Esercenti Cinema), il cui aiuto nella nascita del film è stato definito da Mainetti «determinante». Era calabrese Beniamino, il personaggio interpretato anni fa da Gabriele Mainetti nella fiction Stiamo bene insieme, per lo studio del quale contattò Max Mazzotta, dando vita a un’amicizia duratura.

La presentazione all’Università della Calabria

E, infine, è calabrese Max Mazzotta la cui interpretazione del Gobbo vale un battito cardiaco, quello che perde un cuore per il sobbalzo di trovarsi di fronte a qualcosa di così emozionante da sembrare perfetto e impossibile, vero e falso, parodistico e reale al tempo stesso. Il suo personaggio, ispirato a Giuseppe Albano, originario di Gerace, soprannominato Gobbo del Quarticciolo, che fu uno dei protagonisti della Resistenza romana contro l’occupazione tedesca, entra per sempre e di diritto nella storia del nostro cinema.

A cavallo di questa stella cometa/asteroide, destinata a rivoluzionare il nostro cinema, con le briglie ben strette nell’unica mano buona, immaginiamo lui, forte di una risata sorniona e uno sguardo beffardo. Sarebbe bello se il cinema italiano osasse ripartire da un attore della sua caratura, dotato di un talento così istrionico da poter essere definito Giangurgolesco.

Freaks Out pone l’accento su un concetto molto semplice, ribadito da Mainetti nel corso della MasterClass introdotta da Roberto De Gaetano e coordinata da Angela Maiello e Bruno Roberti: «Ognuno di noi è unico. E se ognuno di noi è unico, è pertanto diverso da chiunque altro. Perciò se siamo tutti diversi, in tale diversità siamo tutti uguali». Chi sono dunque i mostri? Solo chi non capisce che in una guerra non ci sono vincitori in nessuno schieramento. Solo sconfitti. Ma più di tutti è sconfitto, e si trasforma in mostro, in freaks, chi smarrisce la propria umanità. Dunque, in una società in cui gli uomini si sono trasformati in mostri, citando impropriamente Guaglianone, i mostri sono chiamati a essere i migliori tra gli uomini. Avvolti nelle musiche, curate dallo stesso Mainetti in collaborazione con Michele Braga, fotogramma dopo fotogramma, appare chiaro come ogni personaggio abbia una sua melodia narrativa che da sola potrebbe reggere un concerto, ma su tutti spicca, insieme a Mazzotta, Aurora Giovinazzo. Splendida lei, stupendo il suo personaggio, dalla caratterizzazione salvifica.

Il regista Gabriele Mainetti sul set

In fondo, come dichiarato nel corso degli incontri dal regista «i veri supereroi sono le donne. L’ho capito durante le riprese quando sono diventato padre e ho visto mio figlio nascere». Scegliendo di non svelare nulla o quasi della pellicola, non possiamo che consigliare la visione di Freaks Out, opera ricca di magie visive e visionarie, che per lasciarci satolli manca di un solo elemento: la promessa di ritrovare in nuove avventure personaggi tanto affascinanti… Sperarlo non è osare, perché Mainetti in merito alla possibilità di scoprire quale sia stata la storia della divisione partigiana dei “Diavoli Storpi” del “Gobbo” Mazzotta, prima di incontrare Matilde, ha sottolineato che «Non escludo un ritorno». Se la citazione di Califano sia voluta o meno non possiamo dirlo, ma ci piace immaginare di sì. Buona visione.


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