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Il professore Giuseppe Strangi

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COSENZA – Sapete quando sono state sviluppate le tecnologie su cui oggi basiamo l’utilizzo di lenti e altri dispositivi ottici? Più di quattro secoli fa. E sapete chi sta realizzando una vera e propria rivoluzione nel campo dell’ottica, rendendo sempre più possibile l’affermazione di “metalenti” ultrasottili e riconfigurabili mediante nanotecnologie? L’Università della Calabria in collaborazione con due università americane.

Un progetto scientifico guidato dal prof. Federico Capasso di Harvard University e dal prof. Giuseppe Strangi, professore ordinario nei dipartimenti di Fisica dell’Università della Calabria e della Case Western Reserve University, dove dirige laboratori di nanofotonica applicata all’area biomedicale. Strangi vive da dieci anni negli Stati Uniti ma è sempre legato all’ateneo calabrese, sua Alma Mater.

Lo scorso 10 agosto la USA National Academy of Sciences, tra le più importanti istituzioni scientifiche al mondo, ha pubblicato sulla rivista PNAS la ricerca “Proprietà ottiche delle metasuperfici infiltrate con cristalli liquidi”. Uno studio che il colosso americano General Electrics ha inserito nelle cinque cose più belle accadute nel mondo nell’ultima settimana di agosto e che apre scenari solo in parte prevedibili sull’utilizzo e la commercializzazione delle metalenti (definite dal World Economic Forum come una delle prime dieci tecnologie emergenti a livello globale).

Professor Strangi, di cosa stiamo parlando?

«La luce è indispensabile, tutto ciò che tocca la luce è vita, ci siamo abituati ad averla e ad usarla ma spesso ne trascuriamo l’importanza. Pensi che anche su dispositivi tecnologicamente molto avanzati come i nostri smartphone, le lenti presenti nelle fotocamere utilizzano una tecnologia sviluppata nel XVII secolo: fondere un vetro minerale dandogli una specifica forma, sfruttarne il diverso spessore per rallentare la luce e convogliarla in un punto focale. Sono cambiati i materiali, ma il fenomeno che si usa – la rifrazione – è rimasto lo stesso. Nell’ultimo decennio, piuttosto che piegare dei pezzi di vetro per fargli assumere forme concave o convesse, si è pensato di creare delle lenti piatte e miniaturizzate di nuova generazione andando a sfruttare fenomeni che accadono alla scala nanometrica. Invece di usare la rifrazione della luce si fa uso della diffrazione della luce creando dei nanopilastri di materiale dielettrico (più di 150 milioni per ogni centimetro quadrato) di poche centinaia di nanometri. Ogni pilastrino funge da antenna per la luce, diventando di fatto una nuova sorgente nanoscopica di luce: principio sul quale si basa la diffrazione ottica. È il campo di ricerca dell’ottica piatta, attraverso la quale si otterranno delle metalenti sottilissime, basate sulla nanostrutturazione e ingegnerizzazione dei fronti d’onda luminosi. Saranno le lenti del futuro, tutte le vecchie lenti saranno sostituite».

Ma…

«Ma resta una lente statica, una volta realizzata non si può modificare il campo ottico, non c’è un controllo dinamico della luce. Nel 2018, durante una conferenza a Cetraro, è nata l’idea di un progetto collaborativo con Harvard per dare uno slancio a questo campo di ricerca: capire quali fossero le leggi fisiche da sfruttare alla scala nanometrica per infiltrare le lenti con cristalli liquidi (già diffusi nei nostri display) al fine di ottenere effetti di riconfigurabilità del fronte d’onda non solo spazialmente ma anche temporalmente. Questo vuol dire che le metalenti – oltre ad essere piatte, ultrasottili, scalabili e miniaturizzabili – potranno modificare dinamicamente in tempo reale le proprietà della luce. La riconfigurabilità si ottiene orientando i cristalli liquidi, attraverso un’azione esterna, che può essere elettrica, magnetica, termica o ottica. Qualcosa di non scontato, a cui non si era pensato prima. È straordinario osservare come – a quella scala – strutture di poche centinaia di atomi di un decimilionesimo di metro permettano l’infiltrazione ordinata delle molecole di cristalli liquidi».

Cosa potrebbe cambiare nel mondo di tutti i giorni?

«Molti sono gli scenari che potrebbero essere cambiati da questa tecnologia, alcuni sono ancora non prevedibili. Pensi per esempio alle semplici lenti degli occhiali o le lenti a contatto: potrebbe comportare l’eliminazione della luce polarizzata insieme alla possibilità di modificare la visione dinamicamente. Ma potrebbe cambiare il modo in cui facciamo imaging per la diagnostica biomedicale, permettendo di mettere sulla testa di un endoscopio queste lenti che riescono a prelevare informazioni dai tessuti e dalle strutture vascolari in maniera molto meno invasiva. Sarebbe una rivoluzione nel mondo della microscopia ottica, perché si andrebbe a sostituire gran parte dell’ottica con poche metalenti sui microscopi, abbattendo i costi della strumentazione per la ricerca. Cambierebbe il modo di pensare alle telecomunicazioni e alla fibra ottica, rendendo modificabile l’instradamento ottico delle informazioni. Ma questi sono esempi che si possono fare sulla base di ciò che già conosciamo. Esiste tutta una serie di tecnologie future, non ancora prevedibili, che potrebbero basarsi su questa innovazione: ad esempio i computer quantistici».

E ora?

«Noi pensiamo di aver aperto un nuovo campo di ricerca dopo aver mosso questo primo passo, speriamo che molti altri gruppi di ricerca inizieranno a lavorare su questo. Abbiamo un piano per i prossimi tre anni per continuare ad approfondire le questioni scientifiche ancora aperte e per immaginare possibili applicazioni. La ricerca è finanziata dalla National Science Foundation (agenzia governativa degli Stati Uniti che sostiene la ricerca) e speriamo a breve anche dall’Unione Europea per finanziare il mio gruppo in Calabria e per proseguire il lavoro».

Quanta Calabria c’è in questo studio?

«Alcuni esperimenti di questo progetto, tra il 2019 e il 2020, sono stati svolti da ricercatori calabresi nei laboratori di Arcavacata. È importante notare che questa ricerca nasce da una collaborazione attiva tra l’Unical e due importanti università americane. Negli ultimi 40 anni, il dipartimento di Fisica dell’Unical è stato pioniere in Europa per quanto riguarda lo studio dei cristalli liquidi. Attraverso l’integrazione tra questo decennale know-how e le conoscenze sull’ottica avanzata ci siamo immaginati questo bizzarro e ambizioso progetto di innovazione scientifica che per molti di noi porterà ad una rivoluzione dell’ottica per come la conosciamo oggi. L’Unical non è più un ateneo periferico dove si fa ricerca periferica e di secondo piano, come alcuni pensano. È un posto dove si fa ricerca e innovazione collaborando alla pari con antiche e blasonate università come Harvard e Case Western Reserve, dove i ricercatori americani hanno voglia di venire per imparare perché trovano competenze che non trovano altrove. La ricerca scientifica non guarda la posizione geografica o i fittizi ranking universitari. La ricerca tiene solo conto delle buone idee, delle competenze e delle conoscenze».

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