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Riccardo Ehrman, seduto. Da sinistra, Simona Celiberti, Margarita Ehrman, Teresina Ciliberti, Roberto Cannizzaro

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UN giornalista può fare la Storia con la esse maiuscola? Decisamente sì. Basti pensare al “J’accuse” di Emile Zola decisivo a rovesciare il caso Drejfus. Un giornalista che cambiò il corso della Storia è stato sicuramente Riccardo Ehrman, morto martedì a 92 anni a Madrid, dove risiedeva e noto all’immaginario collettivo come colui che con una domanda riuscì a far precipitare gli eventi che fecero crollare il Muro di Berlino la sera del 9 novembre del 1989.

Ehrman era il corrispondente dell’Ansa a Berlino Est, ancora capitale della Ddr. Alle 18 di quel 9 novembre è convocata una conferenza stampa alla sede della stampa estera con i vertici del partito unico comunista. Riccardo ha avuto una soffiata sul qualcosa che sta per cambiare. Sa che devi esserci. Arriva verso le 17.30. Sala gremita di colleghi, Ehrman si fa largo tra la folla e riesce a sedersi ai piedi del podio. Conferenza stampa noiosa e politichese senza notizie. Schabowski, colui che ha sostituito Honeckher, dà la parola al giornalista italiano che si sbracciava da un quarto d’ora per farsi notare per un’ultima domanda.

Ehrman va al cuore della questione che agita le due Germanie sulle nuove disposizioni, molto restrittive sulla mobilità dei tedeschi dell’Est in piena era Gorbaciov. Dice Riccardo: «Lei ha parlato di errori. Non crede che la legge sui permessi per viaggiare, che avete promulgato pochi giorni fa sia stata un grave errore?».

Il presidente Shabowski resta interdetto. Non si aspettava la domanda. Tergiversa, forse balbetta. Poi il colpo di scena. Il cancelliere comunista infila una mano in tasca e tira fuori un bigliettino e annuncia a braccio un nuovo regolamento «che permette ai cittadini della Rdt di andare all’estero dai confini della Germania Est».

Il premier aveva letto un bigliettino scritto dal capo della Stasi che in burocratese annunciava il rivoluzionario provvedimento. Ehrman replica con una domanda decisiva: «A partire da quando?». Shabowski è nel pallone, tergiversa. Poi afferma: «A quanto mi risulta, da subito». Era caduto il Muro di Berlino.

Ehrman scappa alla ricerca di un telefono. I giornalisti concorrenti non hanno capito la notizia. Riccardo si trova nella stessa situazione in cui si verrà a trovare l’11 febbraio del 2013 la vaticanista dell’Ansa, Giovanna Chirri, che comprendendo di latino fu l’unica a capire che il Papa Benedetto XVI si era clamorosamente dimesso. Al telefono Ehrman si ritrova a fianco solo Eberhard Grashoff, ambasciatore della Germania Ovest e il giornalista chiede: «Pensi sia vero?». «Difficile da credere», risponde il diplomatico. L’attacco al telefono per la sede dell’Ansa a Roma è scolastico: «È caduto il Muro di Berlino».

I colleghi che devono ribattere la notizia sono interdetti. Qualcuno non crede al corrispondente venendo meno ad una regola base del giornalismo. Fu necessario aspettare il dispaccio della Reuters molto cauto sulle «nuove disposizioni di viaggio». L’Ansa poteva dare la notizia al mondo in modo decisamente affermativo 41 minuti prima di tutti gli altri. Ehrman, non sapeva che la conferenza stampa era stata trasmessa in diretta televisiva. Era scoppiata la grande fuga. Le strade erano piene di persone che andavano ad Ovest per abbracciare parenti, amici, la libertà.

Ehrman con spirito da cronista corre alla vicina stazione di Friedrichstrasse e guarda la fiumana di gente che va ad Ovest. Uno tra la folla lo riconosce e urla: «È lui che ha fatto la domanda». Ehrman viene sollevato dalla gente e portato in trionfo come mai forse accadrà a nessun altro giornalista. Riccardo Ehrman era un ebreo polacco nato a Firenze. Prelevato con la famiglia durante la guerra dai fascisti, viene deportato in Calabria (evitando altre più funeste destinazioni) al campo di Ferramonti di Tarsia, unico campo di concentramento del Meridione d’Italia. Arrivato in Calabria nel 1942.

Nel campo la famiglia Ehrman conosce il celebre pittore Micheal Fingstein, l’allievo di Oskar Kokoshka, che era stato compagno di università della mamma di Riccardo a Vienna. Giorni grami e pieni di attese e di paure fino all’arrivo degli inglesi liberatori. Il pittore morirà poco dopo per le poche cure avute durante la detenzione e ha scritto Ehrman: «Ma il suo nome figura ugualmente tra le vittime della Shoah». Il pittore al commiato alla famiglia Ehrman donò un suo quadro: «Un  suo autoritratto con una espressione disperata fatto a penna con inchiostro di china e con il sottofondo di  filo spinato delle garitte e delle baracche del campo».

Il vecchio giornalista, colui che fece crollare il Muro, e che in quella deportazione aveva coltivato la profonda religione della libertà, quando viene a sapere che a Tarsia stanno costruendo un Museo a Ferramonti, decide di donare l’autoritratto di Fingstein. Fu molto felice Riccardo, nell’apprendere che una delegazione di Tarsia voleva incontrarlo a Madrid, dove ha chiuso la sua carriera di giornalista prima della pensione.

Nella capitale spagnola arrivarono il direttore del Museo, Teresina Ciliberto, la sua vice Simona Celiberti, il responsabile della Cultura, Roberto Cannizzaro. Fu un incontro indimenticabile per tutti. Ehrman decise di regalare al Museo, che svolge un infaticabile opera di memoria, tutti i quadri del pittore con cui aveva condiviso i giorni della prigionia.

Ha scritto Ehrman dopo quell’incontro: «Del campo, ricordo che gli ultimi giorni prima della liberazione furono durissimi soprattutto per la fame e che dobbiamo essere eternamente grati alla popolazione calabrese dei dintorni che ci aiutò (forse qualcuno per  “mercato nero”) con pane e uova che venivano fatti passare sotto i reticolati con l’indulgenza dei militi fascisti di guardia. Negli 11 anni in cui sono stato corrispondente da Berlino, non ho mai saputo di un tedesco che si fosse azzardato a passare del cibo agli sfortunati dei tanti lager: certo perché lì si rischiava la morte». Tanto dovevamo a Riccardo Ehrman, giornalista che ha fatto la grande Storia ma anche quella piccola ma molto importante della nostra Calabria.

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